lunedì 17 luglio 2017

Tutti contro il papa nero

Nel mondo cattolico ha suscitato grande scalpore il messaggio inviato dal Papa emerito Benedetto XVI per ricordare il cardinale Joachim Meisner, morto il 5 luglio scorso, per venticinque anni arcivescovo della città di Colonia e, soprattutto, suo grande amico.
Quali i motivi di tanta ambascia?
Iniziamo col dire che Papa Ratzinger, commemorando il defunto cardinale, ha sottolineato che egli si è innanzitutto distinto per il "grande amore per le chiese dell’Europa dell’est che tanto soffrirono la persecuzione comunista”: e già questo è un primo indizio. Ma le affermazioni più degne di nota sono contenute nella conclusione: 

“Quello che mi ha colpito particolarmente nei recenti colloqui con il cardinale defunto sono state la serenità, la gioia interiore e la fiducia che aveva trovato. Sappiamo che era un pastore appassionato, e l’ufficio di pastore è difficile, proprio in un momento in cui la Chiesa ha bisogno di pastori convincenti che sappiano resistere alla dittatura dello spirito del tempo e sappiano decisamente vivere con fede e ragione. Mi ha commosso anche il fatto che ha vissuto in questo ultimo periodo della sua vita sempre di più con la certezza profonda che il Signore non abbandona la sua Chiesa, anche se a volte la barca si è  riempita fino quasi a capovolgersi” [nostro corsivo].

Per molti estimatori di Papa Bergoglio (come Alberto Melloni e Massimo Fagioli) queste parole sono suonate come un attacco implicitamente diretto contro di lui e contro l'operato del suo pontificato. Per quale motivo? Per comprenderlo dobbiamo fare una veloce disamina della biografia del defunto.
Intanto, occorre sapere che quando nel 1989 prese possesso della diocesi di Colonia, Meisner fu criticato dagli ambienti cattolici della città perché ritenuto estraneo al clima progressista del cosiddetto "Cattolicesimo renano" e alla mentalità della Chiesa locale. Da alcuni politici fu addirittura definito un "predicatore di odio"! Perché? Ecco alcune "chicche":
Nel 2003 Meisner emise una direttiva che vietava i matrimoni misti tra cattolici, ebrei e musulmani. 
Nell'omelia dell'Epifania del 2005 fece un parallelo tra l'aborto e la Shoah
In un articolo pubblicato dal Frankfurter Allgemeine Zeitung il 1° agosto 2009 si dichiarò contrario all'adozione di bambini da parte di coppie omosessuali.
Nel settembre del 2007, in occasione del discorso per l'apertura della nuova sede del museo diocesano, affermò che la cultura era legata al culto di Dio: "Non dimentichiamo che c'è un rapporto tra cultura e culto. Dove la cultura è scollegata al culto essa si solidifica in pratiche di ritualismo e cultura degenerata". Questa frase venne considerata da molti un allusivo richiamo al concetto nazista di "arte degenerata", provocando numerose reazioni critiche. 
Il 16 gennaio 2013 si seppe che a una donna violentata era stata negata la prescrizione della "pillola del giorno dopo" in due ospedali cattolici. Il cardinale Meisner intervenne il 22 gennaio, scusandosi con la vittima, ma stigmatizzando comunque l'uso della "pillola del giorno dopo", visto che la Chiesa ha come stella polare la protezione assoluta della vita. 
A metà settembre del 2016 il cardinale Meisner con i cardinali Carlo CaffarraWalter Brandmüller e Raymond Leo Burke inviò a papa Francesco e alla Congregazione per la dottrina della fede una lettera in cui, tramite cinque dubia, chiedeva chiarimenti su alcuni passaggi poco chiari della seconda esortazione apostolica Amoris laetitia del Papa. Il 14 novembre successivo i cardinali resero pubblica la lettera poiché il pontefice non aveva dato alcuna risposta. Alla fine del mese il decano del Tribunale della Rota Romana Pio Vito Pinto accusò i quattro cardinali di aver "suscitato un grave scandalo". 
Dulcis in fundo, Meisner era un grande estimatore dell'Opus Dei e del suo fondatore Josemaría Escrivá de Balaguer, in odor di fascismo e affarismo, ma, ciononostante, canonizzato da Giovanni Paolo II nel 2002.
Non c'è che dire: il card. Meisner aveva un curriculum ineccepibile per un perfetto reazionario!
Da questo punto di vista, dunque, si comprende perfettamente come, agli occhi di papa Ratzinger, il card. Meisner sia perfettamente riuscito a "resistere alla dittatura dello spirito del tempo"! Il suo Zeitgeist, come quello di Ratzinger e del loro nume tutelare, Giovanni Paolo II, era totalmente refrattario alle "aperture" verso i tempi moderni che, sia pure molto timidamente, e a fronte di notevoli resistenze interne, soprattutto da parte delle gerarchie, sembra voler imprimere alla Chiesa il loro successore Papa Francesco. Se poi Meisner sia stato anche un "pastore convincente", questo lo lasciamo al vostro giudizio...
Un altro riferimento contenuto nel messaggio di Ratzinger, che ci pare molto significativo, è quello in cui si afferma che i pastori come Meisner "sappiano decisamente vivere con fede e ragione". Non ci sembra un riferimento casuale: Fides et ratio  è stata probabilmente la più importante enciclica, dal punto di vista teologico, scritta da papa Giovanni Paolo II. 
In quella Enciclica, pubblicata nel 1998, il papa polacco affrontò l'annosa questione teologica dei rapporti tra fede e ragione: la parziale rivalutazione della seconda, che vi veniva riconosciuta di contro a una certa tradizione teologica, non cancellò comunque la primazia che, per un buon cattolico, la fede deve comunque mantenere sulla ragione. Il suo successore, papa Ratzinger, si è sempre scrupolosamente attenuto a questa visione, sottolineando il pericolo che incombe sulla fede: quello della "dittatura del relativismo", propria delle verità di ragione, dominanti nella nostra epoca, di contro all'assolutezza delle verità di fede.
Se, dunque, lo "spirito del tempo" è null'altro che la ragione laica -dimentica dei propri limiti - che impone la propria dittatura, allora sarà soltanto un uomo di fede, che sappia però riconoscere i limiti della ragione, a potergli resistere! Al contrario, chi, all'interno della Chiesa, si fa pedissequo esecutore delle istanze dello "spirito del tempo", sarà giocoforza costretto a sottomettere la propria fede alla dittatura della ragione!
Ma la Chiesa odierna corre davvero questi pericoli? Pare proprio di sì, visto che Ratzinger chiude il proprio messaggio con un vero e proprio schiaffo: "Mi ha commosso anche il fatto che [Meisner] ha vissuto in questo ultimo periodo della sua vita sempre di più con la certezza profonda che il Signore non abbandona la sua Chiesa, anche se a volte la barca si è  riempita fino quasi a capovolgersi”!
Ora, se si tien conto che l'ultimo periodo della vita di Meisner è coinciso con il papato di Bergoglio, risulta evidente che, agli occhi del papa emerito, proprio in questo torno di tempo la Chiesa sia stata una barca che "si è  riempita fino quasi a capovolgersi”! Ratzinger sembra in altre parole dire, senza troppi indugi, che la Chiesa di Bergoglio è una barca sempre in pericolo di naufragio! E questo perché? Perché la barca di Bergoglio, evidentemente più attenta a soddisfare il desiderio di pulizia morale che lo "spirito del tempo" impone, ha ormai abdicato ad esso e ha perciò sottomesso la fede alla dittatura della ragione laica!
Dopo queste parole, l'ala cattolica più retriva si è scatenata contro Bergoglio, già da tempo visto come colui che sta affossando, e affosserà definitivamente la Chiesa cattolica. Tanto più che questa interpretazione trova, per loro, conferma nelle profezie legate più o meno direttamente al "Terzo segreto di Fatima", che vedono in Bergoglio, in quanto gesuita, il "papa nero", colui cioè che chiuderà la storia della Chiesa, preannunciando la venuta dell'Anticristo...
Ecco fin dove può spingersi una "fede" completamente chiusa alla "ragione"...
Quale interesse possono rivestire per un laico queste vicende interne alla Chiesa? Esse dimostrano ancora una volta che anche quel mondo chiuso, e per molti aspetti impenetrabile, i cui segnali vanno di volta in volta "interpretati" con beneficio di inventario, è percorso da lotte intestine che nel mondo dei comuni mortali vengono abitualmente interpretate come un chiaro scontro tra ideologie o visioni di "destra" e di "sinistra": divisioni che, lungi dall'essere state superate dalla Storia, lambiscono e condizionano - oseremmo dire: inevitabilmente - lo stesso soglio di Pietro!



domenica 18 gennaio 2015

VENDOLA SU TARANTO & ILVA: “Questo matrimonio s’ha da fare”!

Nei giorni scorsi il Governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, è stato convocato in audizione dalla Commissione Industria al Senato nell'ambito dell’esame del decreto Ilva, l’ennesimo varato dal Governo Renzi. La prolusione di Vendola è stata degna della sua proverbiale prosa: “Se dovesse chiudere l’Ilva dubito che potremmo essere di fronte alla possibilità di dibattere del futuro di Taranto: oggi si può avere un’acciaieria sostenibile. La chiusura dell’Ilva sarebbe un colpo al sistema industriale nazionale”. Una prosa accattivante, che proviamo a tradurre in maniera più stringata: senza Ilva Taranto morirebbe; l’Ilva può diventare eco-compatibile; la chiusura dell’Ilva manderebbe a gambe all'aria l’industria nazionale! Tre affermazioni fatte – suppongo - in ordine decrescente di importanza; purtroppo si tratta di tre affermazioni, di cui almeno due sono false, fatte al solo scopo di nascondere l’unico punto che davvero interessa: difendere a ogni costo l’economia nazionale!

Sia chiaro, lo stesso Governatore pugliese non ha mancato di sottolineare le debolezze dell’ultimo decreto ammazza-Taranto partorito dalle menti eccelse del Governo del rottamatore, pur di scongiurare, quasi fuori tempo massimo, la rottamazione dello stabilimento. Infatti Vendola chiede in primo luogo di cassare la norma che considera sufficiente l’attuazione dell’80% delle prescrizioni AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) in materia di risanamento dello stabilimento. Tuttavia il Governatore dimentica di aggiungere che quell’80%, ora concesso, non riguarda l’intero pacchetto di prescrizioni, bensì soltanto quelle che andranno in scadenza al 31 luglio del 2015, che, all'interno dell’originario piano dell’AIA, rappresentano in realtà ben poca cosa! Tanto che lo stesso Vendola continua:  "Ci chiediamo perché proprio l’80%? Siamo di fronte a una nuova proroga?". NO, caro Vendola, siamo di fronte a una cancellazione sostanziale del piano originario! Infatti, lo stesso Vendola sembra avere sentore della presa per i fondelli rappresentato da questo ennesimo decreto e continua: “Parliamo di interventi indispensabili, come per esempio quelli sui parchi minerali, per la data che va dal 31 luglio 2015 in poi”! 

In effetti quello del “parco minerali” è uno dei punti più dolenti dell’intera questione ambientale costituita dall’Ilva: non solo perché è quello più vicino alla città (all’ormai tristemente famoso Rione Tamburi), ma proprio perché è uno dei maggiori fattori di inquinamento (anche se purtroppo non certo l’unico!), la cui ambientalizzazione richiede però considerevoli investimenti economici! Ma poiché la prescrizione riguardante i parchi minerari va appunto oltre la data del 31 luglio 2015, essa non solo non rientrerà nel fatidico 80%, venendone di fatto esclusa, ma verrà rimandata sine die, senza cioè più alcun vincolo temporale per la sua effettiva realizzazione! Se a questo si aggiunge la non punibilità penale del commissario di governo; il principio del “silenzio-assenso”, per il quale tutte le amministrazioni locali hanno tempo un mese per proporre le eventuali obiezioni ai piani di riqualificazione; che nulla vien detto circa l’utilizzo delle discariche interne allo stabilimento (già sottoposte a sequestro dalla magistratura tarantina, ma, tanto per cambiare, dissequestrate dal precedente decreto); o, ancora, che non vi è alcuna certezza circa le risorse finanziare effettivamente destinate a tali piani; o, infine, che non è previsto alcun potenziamento dell’organico dell’Arpa regionale, già largamente sottodimensionata, dall'insieme di queste (assai parziali) considerazioni risulta francamente incomprensibile il motivo per il quale Vendola si spinge ad affermare che, purtuttavia, vi sono alcuni aspetti del decreto “che valutiamo positivamente, come l’introduzione del nuovo protagonismo dello Stato”!!!

Alla faccia del protagonismo statale! Che la privatizzazione dell’Ilva, svenduta negli anni ’90 alla famigerata banda di assassini costituita dalla famiglia Riva, sia stata un disastro sotto tutti gli aspetti (economici, ambientali, sanitari, sindacali e politici), non c’è alcun dubbio! Ma che la riacquisizione in mani pubbliche, con i soldi del contribuente, e alle condizioni or ora menzionate, possa essere considerata un “positivo protagonismo dello Statoha il sapore di una vera e propria beffa! È una affermazione che soltanto uno che mente, sapendo di mentire, può azzardarsi a fare! È una chiara presa per i fondelli che ha l’aggravante di nascondere, imbellettandola, la presa per i fondelli già costituita dall'ultimo decreto-Ilva del Governo! In altre parole, è una presa per i fondelli elevata al quadrato!
Ma ci sono almeno altre due considerazioni che è necessario fare per completare questo quadro demenziale!
L’affermazione iniziale di Vendola, secondo la quale lo stabilimento dell’Ilva potrà diventare eco-compatibile, non solo è un’affermazione priva di fondamento, ma è già stata provata come falsa! E non da qualche ambientalista arrabbiato dell’ultima ora, bensì dallo studio “Sentieri” dello stesso Ministero della Salute. Da questo studio si evince che anche qualora venissero attuate, nei tempi originariamente previsti, tutte le prescrizioni AIA (che l’ultimo decreto, invece, praticamente cancella o indebolisce), l’impatto di alcuni inquinanti si ridurrebbe, altri rimarrebbero pressoché inalterati; altri, invece, addirittura aumenterebbero! In ogni caso rimarrebbe un danno sanitario residuale che coinvolgerebbe una popolazione stimata intorno alle 12.000 unità! Vi sembra un danno accettabile? Tale da legittimare l’affermazione circa l’eco-sostenibilità dell’Ilva risanata a spese dello Stato (cioè con i soldi dei soliti noti)? L’unica certezza che abbiamo a tale riguardo è che, di fronte a tali numeri, la Procura della Repubblica di Taranto sarà costretta a sequestrare nuovamente gli impianti Ilva, con buona pace per il “rinnovato protagonismo dello Stato” vendoliano!
E veniamo all’ultimo punto del problema sollevato dall'intervento di Vendola: perché tanto entusiasmo per il presunto “rinnovato protagonismo" statale? E’ evidente che questa fede cieca è un rigurgito di quello statalismo picciota che si trova nel DNA ideologico di Vendola. Una delle caratteristiche ideologiche che più di ogni altra ha caratterizzato il P.C.I. del bel tempo che fu, è stata infatti quella di una fiducia pressoché illimitata nei confronti dell’interventismo statale in economia, quasi fosse un preludio (per i militanti in buona fede, s'intende!) per la realizzazione del comunismo (che prevede infatti la completa socializzazione del mezzi di produzione)!
Peccato che, all'epocaall'interno del PCI nessuno si chiedesse, o forse alcuni omettevano volutamente di chiedersi, che tipo di “Stato” procedeva a quelle nazionalizzazioni? Se si trattasse di uno Stato borghese (come di fatto era) piuttosto che uno Stato proletariato (ancora ben al di là da venire)! Con un criterio così ideologicamente equivoco, in quanto creatore dell’IRI, lo stesso Mussolini avrebbe avuto ben diritto a comparire in effige al fianco di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao Tse-tung. E che dire di Moro, La Pira, Fanfani o Mattei? Non scherziamo! Non diciamo idiozie! 
Il rinnovato statalismo vendoliano, erede più che legittimo di quello picciota di un tempo, non è altro che una sanzione ideologica, nemmeno tanto ben mascherata, che vuole plaudire piuttosto all'interventismo renziano finto-rottamatore! Si tratta, in altre parole, di una confezione scintillante che serve ad attirare gli ingenui e i dubbiosi; uno specchietto per le allodole che serve peraltro a dare legittimità a un altro principio supremo, strettamente connesso a questo, di cui parlavamo all'inizio: l’interesse nazionale!

Ma di quale interesse stiamo parlando? Degli interessi dei cittadini a non vedersi sfruttati, a poter vivere una vita degna e libera dall'incubo del bisogno e della malattia, a non dover essere costretti a scegliere tra lavoro o morte, o dell’interesse dei soliti padroni del vapore? È ammissibile che un individuo che proviene da una ideologia cosiddetta “comunista” possa confondere le due cose, mistificandole così spudoratamente? Certo, “l’interesse nazionale” esige che Taranto continui a produrre acciaio, magari un po’ più “pulito” del solito, senza stare tanto a sottilizzare sul numero di morti che comunque continuerà a portarsi dietro! Perché l’interesse nazionale esige questo e altro! L’interesse nazionale non ha alcun interesse a immaginare una Taranto diversa, che possa vivere senza l’Ilva e il suo acciaio (come pure senza la Marina Militare e le sue navi da guerra, non meno inquinanti di quella)! Se non vuole farlo, perisca pure come Bagnoli! Al massimo ai cittadini di Taranto l'interesse nazionale tributerà il riconoscimento estremo di una medaglia alla memoria per aver servito, con sprezzo del pericolo, gli interessi della Patria di Vendola & C.!

giovedì 8 gennaio 2015

DICHIARATA LA GUERRA SANTA CONTRO L’ISLAM!

A meno di 24 ore dall’esecrabile attentato omicida perpetrato contro l’intera redazione del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, si è scatenata in tutta Europa, come era d’altra parte facilmente prevedibile, la canea reazionaria che, col sangue agli occhi, invoca, promuove ed esige una risposta ferma e immediata dell’Occidente tutto non soltanto contro i terroristi attentatori, ma addirittura contro l’intero islam!
Si va dalle reazioni – si fa per dire – più blande del Financial Times, che accusa i redattori del Charlie, di aver  continuamente provocato i mussulmani con le loro vignette contro Maometto, e che, quindi, in qualche modo “se la sarebbero cercata”, dimenticando però di aggiungere che il settimanale francese, essendo un giornale libero, oltre che di sinistra, metteva sistematicamente alla berlina tutte le religioni, compresa quella cattolica ed ebraica, oltre che gli uomini politici più in vista!


Si passa poi alle dichiarazioni più retrive espresse da Marine Le Pen, il nero astro emergente della politica francese, che pretende la pena di morte per gli assassini islamici: ma da lei non ci si poteva certo aspettare nulla di meno; all’immancabile intervento del suo sodale italiano, il segretario legaiolo Matteo Salvini, che invita tutti a unirsi con fierezza in difesa dei “nostri” comuni valori culturali e identitari, ora minacciati! Infatti, quasi nelle stesse ore, il direttore del noto giornalaccio “culturale” Libero, Maurizio Belpietro, ha affermato senza mezzi termini che ormai non bisogna più illudersi, perché “il nostro vero nemico è l’islam”! Gli fa immediatamente eco la rediviva Daniela Santanché, con parole che sembrano scolpite nel fuoco della sua furiosa rabbia: “Oggi c’è stata dichiarata guerra!” Lo stesso Ministro degli Esteri italiano, il piddino, ultra-cattolicissimo Paolo Gentiloni si dice pronto ad un’azione di forza contro l’Isis!
In altre parole, la macchina da guerra si è messa immediatamente in moto, almeno dal punto di vista ideologico.
La cosa solo apparentemente strana è che tutta la destra europea più cattolica, retriva e reazionaria si sia mobilitata all’istante, come un sol uomo, per chiedere di vendicare nel modo più fermo la morte di alcuni vignettisti satirici, che, guarda caso, erano tutti di estrema sinistra!
Che cosa avevano in comune dal punto di vista culturale, politico e ideologico questi uomini di sinistra (per lo più comunisti o anarchici) con la Le Pen, Salvini, o Gentiloni? Niente di niente!

Anzi, se c’è una contiguità culturale che va evidenziata, questa è piuttosto ravvisabile in quella chiaramente esistente tra i terroristi assassini e tutti coloro che oggi si ergono a loro inflessibili boia! E la cosa è meno paradossale di quanto possa apparire a prima vista: perché come quegli assassini che hanno sparato per le strade di Parigi contro degli inermi intellettuali, anche costoro, i vari Salvini, Le Pen, Belpietro ecc., predicano l’uso delle armi, per il puro gusto della vendetta; e lo fanno in nome e a difesa di analoghi valori culturali: quelli religiosi! Come i primi, che nella loro furia idiota e assassina pensano di difendere i valori dell’islam, anche i secondi vogliono sfoderare le loro spade in difesa del cristianesimo occidentale minacciato! Alla guerra santa come alla guerra santa!
Chi, allora, sta mettendo maggiormente in discussione, in questo momento, i veri valori culturali dell’occidente: i terroristi islamici o alcuni dei loro stessi nemici occidentali?!
Tutti gli intellettuali illuministi, francesi e non, che hanno predicato la tolleranza, l’uso della ragione, il carattere educativo delle pene, ecc., in questi giorni si staranno rivoltando nella tomba! Quegli idioti che più o meno velatamente predicano la superiorità culturale dell’Occidente, contro l’islam retrivo, che esempio di “superiorità” stanno dimostrando in queste ore al mondo intero? Stanno andando indietro nel tempo a passo di carica; stanno appunto ritornando a quella “civiltà” oscurantista, repressiva e intollerante, di cui accusano essere portatori i loro avversari; perché, da buoni cattolici quali quasi sempre sono, essi sono pronti a vedere il fuscello nell'occhio dell’avversario, piuttosto che la trave presente nel proprio! E tutti costoro stanno cercando di convincerci che è giusto sentirci oggi tutti uniti intorno a questi (loro) “valori”, per essere magari pronti al sacrificio estremo per difenderli!
Eppure nessuno di costoro si ritraeva indignato o faceva lo schizzinoso quando i loro rispettivi Governi (di destra o di “sinistra” che fossero!) andavo a sottoscrivere accordi miliardari con quegli Stati retrivi, come ad esempio, l’Arabia Saudita (che quanto ad oscurantismo non è certo seconda a nessuno!), gli Emirati Arabi, Dubai, il Quatar, ecc. ecc. Da nessuno di costoro si è mai levata in quel momento una sola voce di condanna! Ed oggi, dimentichi delle nefandezze da loro stessi perpetrate sino a ieri, costoro si ergono a giudici inflessibili, che, dall’alto della loro presunta dirittura morale, si sentono in diritto di poter giudicare tutto e tutti e di indicare agli altri i compiti che l’urgenza del momento impone! Vergogna! Ecrasez l’enfame! avrebbero gridato gli intellettuali illuministi del settecento! Questi loschi individui, che oggi si gonfiano il petto di vibrante indignazione, non soltanto sono degli ipocriti, ma, soprattutto, sono dei pericolosi ipocriti assassini, che oggi come ieri sono pronti a mandare al massacro degli innocenti per continuare tranquillamente a coltivare i loro loschi, luridi affari!

mercoledì 7 gennaio 2015

MISERIA DELLA SOCIOLOGIA: QUANDO IL PD PARLA DI “SINISTRA”…

L’altra sera, nella cornice di una nota libreria tarentina, è stata presentata l’ultima fatica letteraria di Franco Cassano:  Senza il vento della storia. La sinistra nell'era del cambiamento (Laterza, Bari, 2014). Qualcuno si chiederà: ma chi è sto Cassano? Per chi ancora non lo sapesse, Franco Cassano - da non confondere con l’omonimo calciatore barensis - è un noto professore di Sociologia dell’Università di Bari (della cosiddetta école barisienne; come dicono a Bari: “Se Parigi avesse lu mare, saresse na piccola Bare”…), nonché deputato del PD. Alla conferenza era schierato tutto il gotha del Pd locale, a fare da compiacente corona all'autore: dall’on. Pelillo (ex-Margherita), dai più considerato il vero regista occulto dell’inciucio che ha portato all'elezione di un sindaco di Forza Italia alla Presidenza della Provincia di Taranto (con i voti dei consiglieri PD), nonché aspirante alla poltrona di Sindaco della nostra città; Michele Mazzarano, consigliere regionale Pd, già assurto agli onori della cronaca, perché accusato di finanziamento illecito ai partiti e millantato credito e, infine, dal sen. Giovanni Battafarano, ex-sindaco di Taranto e, oggi, Segretario Nazionale dell’Associazione Lavoro & Welfare, creata dall’on. Cesare Damiano, sempre del Pd.
L’occasione era ghiotta, poiché, appunto come suggerisce il titolo del libro, erano in discussione le sorti della “sinistra” alla luce delle nuove sfide della contemporaneità. Quali sono queste sfide? Ma ovviamente quelle della globalizzazione! Ma qui già un primo intoppo: come? E’ ormai quasi un quarto di secolo che non si fa altro che parlare di “globalizzazione” e soltanto oggi l’on. Cassano riesce a proporci il parto del suo sforzo intellettuale - di ben 91 pagine!!! - sull'argomento? Gatta ci cova! Poiché non penso che l’on. Cassano sia così intellettualmente sprovveduto da volerci propinare le sue riflessioni su un argomento ormai vecchio come il cucco, devo supporre che, evidentemente, il suo intento sia un altro! Ma, subito, mi si presenta, sgarbato, un altro inconveniente: un esponente dell’élite intellettuale del PD che ci viene a parlare di “sinistra”? Ma di quale sinistra si tratta? Tenta immediatamente di rispondere alla domanda uno degli “autorevoli” interlocutori del Nostro, il più ferrato in proposito, appunto l’on. Pelillo, il quale afferma che la quarta di copertina del libro riassume in termini egregi le tesi di fondo ivi espresse dall'autore, meglio di quanto lui stesso non avrebbe mai saputo fare, tanto da darne pubblica lettura. Eccone uno stralcio:

A lungo la sinistra ha pensato che nelle sue vele soffiasse il vento della storia. Oggi che tutto è cambiato, che quel vento non le ha riconosciuto alcuna primazia, che anche il suo popolo non è più lo stesso, la sinistra sembra essersi ritratta in una posizione difensiva e risponde con sdegno all'accusa di conservatorismo. In verità le sue ragioni sono tutt'altro che scomparse, ma per farle rientrare nella partita del mondo è necessario che smetta di sentirsi ospite innocente in un universo cattivo e abbandoni ogni nostalgia. Perché la globalizzazione non è solo una banale restaurazione, non è solo espropriazione e sradicamento, ma un gioco di dimensioni planetarie nel quale nuovi protagonisti si affacciano sulla scena della storia. E a questo gioco largo e imprevedibile, pieno di pericoli e di opportunità, non ci si può sottrarre.

Dunque, la sinistra italiana (e non solo) si trova a fare i conti con una realtà ormai completamente mutata, dove i protagonisti non sono più gli USA e l’Europa, bensì i paesi asiatici (Cina e India in testa), e pochi altri. L’Europa, anzi, vive un periodo di progressiva marginalizzazione, senza parlare dell’Italia, dove i nostri poveri imprenditori sono costretti a de-localizzare in Paesi il cui il costo del lavoro è molto più basso. [Domanda: come mai in Germania ciò non avviene, benché il costo del lavoro sia molto più alto di quello italiano? Boh!, Beh, allora, sorvoliamo...] Secondo quesito che si pone agli astanti in trepida attesa che si disveli loro l’arcano: quali sono le alternative che abbiamo di fronte? Due sono i possibili atteggiamenti che si possono assumere a tale riguardo, dice il Nostro: o il ritrarsi sdegnati nella comoda sicurezza dei valori tradizionali della sinistra, quelli che hanno fatto del “glorioso trentennio” seguito alla II Guerra Mondiale una stagione di conquiste irripetibili per i lavoratori, o quello, invece, di assecondare questo tsunami epocale che, però, a quanto pare, ha il piccolo difetto di mettere in discussione tali diritti [ma questo l’ho aggiunto io!].
Non manca ovviamente l’erudito riferimento all'ultima novità di grido proveniente dalla Francia [Parbleu, siamo pur sempre intellettuali à la page!]: non ha forse detto Thomas Piketty, nel suo ormai famoso libro Il Capitale, che nel capitalismo “le diseguaglianze sociali vanno allargandosi”? [Ma, vado a memoria, qualcosa del genere non l’aveva più o meno già scritta Marx, qualche tempo fa, in un libro di cui però non ricordo più il titolo? Ah, è vero,] anche il nostro Cassano ammette di aver letto a suo tempo Il Capitale di Marx [ecco il titolo! Che originale questo Marx: sempre pronto a copiare l'ultimo intellettuale francese alla moda, senza pagargli nemmeno i diritti d’autore!] Ovviamente l’on. Cassano è per prendere di petto il secondo corno del dilemma: la sinistra non può ritrarsi inorridita di fronte al nuovo, ma deve imparare a navigare tra i marosi, ed accettare la sfida dei tempi! Come fare? Cassano ricorda a tutti che quello che i suoi interlocutori hanno (giustamente) definito il “trentennio glorioso” seguito al secondo dopoguerra, che ha portato non solo a consistenti aumenti salariali, ma soprattutto a giganteschi passi in avanti nella conquista di nuovi diritti da parte dei lavoratori (uno per tutti: lo Statuto dei Lavoratori del ’69) è stato possibile perché l’Italia di quegli anni era in pieno boom economico! Solo dove c’è aumento di ricchezza ci può essere redistribuzione del reddito, con conseguente riduzione delle disparità sociali! [Caspita, non ci avevo mai pensato! Che genio questo Cassano, quasi quanto il suo omonimo lo è con i piedi!] Ma oggi? Oggi, come ognun vede, la derelitta Italia è ormai da lunghi anni in recessione, e la produzione di reddito, piuttosto che allargarsi, si restringe sempre più drammaticamente! Per cui? Per cui… non si possono fare matrimoni coi fichi secchi o vogliamo forse che il declino dell’Italia si compia inesorabilmente? Non possumus! Non possiamo! La sinistra italiana deve impedire questo destino apparentemente ineluttabile, e perciò deve saper guardare oltre, deve andare avantiadesso! Per far ciò, la strategia che il PD deve adottare è quella di allargare il proprio consenso, senza però spostarsi! Altra domanda incresciosa: come si fa ad andare avanti senza spostarsi?  Ma è ovvio! Bisogna andare avanti, senza che però il partito si sposti a “destra” [a destra in senso politico, non fisico! Che stupido che sono!].
Vuoi vedere che adesso tutti gli imprenditori che hanno abbandonato Berlusconi, e che ormai votano in massa per Renzi, sono pronti a cedere parte delle loro ricchezze, per darle, in tempi di magra come questi, ai loro operai? Vuoi vedere che sono diventati improvvisamente tutti di sinistra? Tutti compagni? Volgo lo sguardo indietro, nella speranza di vedere emergere, tra la folla degli astanti, qualche compagno (ex-sciur) Brambilla, ma… niente! Mi accorgo con sgomento che sono capitato in un attivo di sezione del PD, e l’illusione momentanea di scioglie come neve al sole di fronte alla cruda realtà, fatta di pensionati sonnacchiosi (qualcuno, più audace, istigato da comprensibili necessità fisiologiche, si avventura rumorosamente verso la porta della toilette, posta proprio a destra del palco…); di adoranti impiegate a cui brillano gli occhi per la fortuna di trovarsi ad ascoltare il profluvio di cotanto ingegno; di vecchi militanti del PCI, che sono sopravvissuti vittoriosamente a tutte le svolte ideologiche di questi ultimi 20 anni, e di qualche ex-socialista craxiano, che guarda di sottecchi il suo nuovo amico/compagno del PD, seduto al suo fianco, e a cui sembra sussurrargli: “Hai visto che aveva ragione Bettino?!”…
Dunque, qual è la soluzione che ci viene prospettata dal prof. Cassano? Pur con le dovute cautele, al Nostro sembra che l’unica alternativa oggi realisticamente appetibile per la sinistra italiana sia costituita nientepopodimeno che da Renzi! Renzi? Si, avete capito bene: proprio Renzi! Adesso, in Italia, nella sinistra italiana, l’unico che guarda con fiducia in avanti, al futuro è proprio Renzi! Lui è in grado di allargare la base del Pd, senza pericolosi scivolamenti a destra; lui è l’unico in grado di affrontare le sfide della globalizzazione senza stare tanto a menare il can per l’aia con la solita, sinistra, tiritera dei diritti dei lavoratori! Del Jobs act, ad esempio, Cassano non ne parla affatto, nonostante sia stata la sua ultima fatica parlamentare prima delle vacanze natalizie! Ma è chiaro che non ha bisogno di farlo, perché di fronte alle sfide della globalizzazione che cosa pretendete? Che si mantenga integro lo Statuto dei Lavoratori? Che si passi dalla stagione dei diritti a quella dei doveri per i ricchi? Ma non lo sapete che gli imprenditori sono lavoratori come noi, che non possiamo lasciarli soli di fronte alle faticose sfide della globalizzazione e, quindi, devono essere rappresentati dal PD, che perciò ha tutte le carte in regola per diventare il vero e unico Partito della Nazione?!
Perbacco - mi dico in conclusione della conferenza - come è caduta in basso la Sociologia! Al minimo stormir di fronda essa è pronta a fornire la legittimazione ideologica dello stato di cose presente, affinché tutto cambi, perché tutto resti uguale! Si nutre di banalità, spacciandole per il risultato di faticose riflessioni teoriche, ed annuncia pomposamente al mondo di aver (ri)scoperto l’acqua calda!
Non vorrei scomodare, facendolo peraltro rivoltare nella tomba, il povero Gramsci: ma se c’è un intellettuale organico, ovviamente organico alla borghesia, che un partito (di destra) poteva partorire, questo è proprio il sociologo, onorevole del Pd, Franco Cassano! Anzi, oggi oso elevarlo, sia pure solo per un istante, al rango di filosofo: con questa sua opera probabilmente il prof. Franco Cassano ha dato effettivamente prova di essere il più conseguente filosofo dell’attualismo renziano, memore della lezione del ben più famoso Giovanni Gentile, in arte: filosofo del regime fascista…

giovedì 1 gennaio 2015

Taranto: dalla monocultura dell’inquinamento alla monocultura spartana?


In questi ultimi tempi il dibattito culturale nella città di Taranto si è inaspettatamente animato a causa di una diatriba piuttosto sorprendente: quella riguardante la querelle “Sparta si, Sparta no”.
Premessa indispensabile per chi non conosce Taranto: che nella nostra città ci sia qualcosa che possa essere definito “un dibattito culturale” è già di per sé un evento alquanto sensazionale; e lo è anche per uno non esattamente di primo pelo come lo scrivente: per questo motivo mi sono affrettato ad offrire il mio modesto contributo in proposito! In secondo luogo occorre aggiungere, a scanso di equivoci, che Taranto fu effettivamente fondata da coloni spartani nel 706 a.C.; cosa di cui però quasi nessuno, in città, ha serbato il ricordo, anche perché non è sopravvissuta alcuna testimonianza diretta dell’evento, fatto salvo qualche reperto conservato nel Museo Archeologico (MarTA): le epoche successive, infatti, hanno profuso un grande e sistematico impegno per cancellare (o sotterrare) accuratamente qualsiasi referto che possa in qualche modo fungere da prova tangibile di quel lontano accadimento. Cosicché il tarantino medio di oggi può credere che Taranto sia una città spartana allo stesso titolo per cui un uomo di media cultura crede nel mito di Ulisse, le cui vicende furono descritte nei celebri versi di Omero, o un uomo pervaso da profonda fede cristiana “crede” nel dettato biblico in cui si narra della separazione delle acque del Mar Rosso, operata da Mosè, sotto il diretto controllo divino.
Ciò non di meno, è un dato assodato che Taranto nasca come colonia degli spartani, una volta che questi ultimi fecero fuori progressivamente gli indigeni!



Da questa premessa storicamente certa nasce l’iniziativa di un gruppo di artisti tarantini (riuniti nell'associazione AUT: Artisti Uniti per Taranto) di creare un brand - da cedere gratuitamente a chiunque ne fosse interessato - che possa identificare a livello mondiale e in modo inequivocabile la nostra città: quello appunto di “Taranto città spartana”, che, almeno questo è l’esplicito, e per nulla disdegnabile, auspicio, possa finalmente cancellare dall'immaginario collettivo l’associazione semantica tra “Taranto” e “Ilva”, con tutto l’inevitabile, quanto nefasto corollario di disastri ambientali, sanitari, sociali e politici…
Il brand è corredato da un colossale progetto di risistemazione urbana della città, con l’innesto di numerosi monumenti, realizzati ad hoc, che avranno appunto il compito di rendere visibile alla città (e al mondo interno) la sua antica origine, allo scopo di incrementare finalmente i flussi turistici nella direzione della troppo a lungo negletta città di Taranto. Un progetto che, peraltro, è stato presentato con successo in molte scuole cittadine, suscitando un entusiastico accoglimento da parte degli studenti. E a quanto pare su tale progetto ha astutamente calato un asso anche l’attuale Governo Renzi, il quale, "fiutando l'affare" politico, sembra averlo in qualche modo inserito nell'ultimo decreto Ilva di fine anno o, comunque, sia in procinto di farlo in uno dei prossimi in calendario.


Roberto Nistri
Ma, apriti cielo, l’iniziativa non è andata giù a tutti! Tra i critici più severi si è in particolar modo distinto colui che oggi è forse il più autorevole storico della città ancora vivente, il prof. Roberto Nistri, il quale ha bollato l’iniziativa come una ridicola trovata fumettistica (ispirata al film cult300”), invitando perentoriamente i giovani tarantini, irretiti da questo progetto, a “guardare al futuro”! Ora, che uno storico, le cui ricerche si incentrano quasi sempre sulla storia della nostra città (in particolare quella che va dall'800 al ‘900) prenda, per così dire, carta, penna e calamaio per invitarci così autorevolmente a distogliere il nostro sguardo dal passato, e volgerlo verso il futuro, appare alquanto originale, per non dire francamente incredibile! Sembrerebbe quasi un incitamento, un tantino masochistico, alla delegittimazione della conoscenza storica, peraltro perpetrato in un momento in cui qualcun altro è finalmente riuscito a suscitare l'interesse delle giovani generazioni tarantine verso la propria Storia! Ma, d’altra parte, è anche vero che sentirsi dire che il mito di Sparta è alimentato da Alba Dorata in Grecia, non è certo facile da digerire; e quand'anche questa allusione risultasse un po’ forzata o maliziosa, beh, in ogni caso basterebbe fare mente locale alla storia dell’antica città di Sparta per capire ciò di cui stiamo parlando: una città che non si è certo distinta, ai suoi tempi, per spirito “democratico” (anche solo nel coevo significato ateniese del termine) o per maniacale rispetto della diversità, anzi! Certo è difficile pensare che un mito del genere possa, come dire, alimentare i sogni ad occhi aperti di uno che si considera ideologicamente orientato a “sinistra”…
 E tuttavia è incontrovertibile che la Taranto spartana non sia nata dalla fervida immaginazione di uno sceneggiatore hollywoodiano o, peggio, dalla fantasia malata di interessati agitatori nazisti! D'altra parte è anche vero che pensare di creare un brand, con un suo (prevedibile) appeal internazionale, per “spenderlo” in campo turistico, forse dovrebbe indurre a riflettere con maggior ponderatezza gli stessi promotori dell’iniziativa: al di là della sua fattibilità concreta, sulla quale mi permetto di avanzare qualche dubbio, tenuto conto dello scadente tessuto imprenditoriale locale, una proposta del genere non farebbe correre alla nostra città dei pericoli per certi versi analoghi a quelli dai quali si tenta encomiabilmente di sfuggire? Non si corre forse il rischio di assoggettare la nostra città, sia pure sotto mentite spoglie, a quella stessa logica di mercato che l’ha governata sinora, e di cui Taranto ha sempre pagato le conseguenze? In altri termini: ammesso che un simile progetto si realizzi, trasformare la città in una “Disneyland degli Spartani” è un’alternativa effettivamente auspicabile, oltre che credibile? Essa sarà probabilmente più sostenibile dal punto di vista ambientale rispetto alle attività economiche oggi in essere, ma potrebbe avere delle conseguenze sociali ed economiche non meno devastanti di quelle già subite in passato! Sto esagerando? Pensate al degrado sociale che ormai da decenni colpisce la popolazione locale (ormai quasi completamente espulsa dal centro storico) di una città iper-turistica come Venezia, e avrete un'idea abbastanza chiara di quello che intendo!
Che Taranto debba trovare un’alternativa alla monocultura dell’inquinamento (perché di ciò si tratta!), non c’è dubbio: è ormai diventata una questione di vita o di morte!
Che Taranto abbia l’urgente e ormai inderogabile necessità di ricostruire il proprio tessuto storico e culturale è altrettanto indubitabile: ne va dell’identità stessa di una città che voglia sfuggire a un destino di anomìa culturale che sembra quasi ineluttabile!
Ma le scorciatoie non risolvono i problemi: tutt'al più, e nella migliore delle ipotesi, possono soltanto prolungarne l’agonia!
Credo che il lavoro per ricostruire una propria identità storica e culturale sia molto più lungo e difficile: per affrontare seriamente un lavoro di questo genere forse dovremmo tutti (storici e non) renderci consapevoli che appunto Taranto è stata, ed è ancora, una colonia! Taranto ha perso la propria identità, la propria storia, la propria libertà, con la conquista romana: da allora in poi (vale a dire: sino ai giorni nostri) Taranto è, per così dire, uscita fuori dalla Storia, non ha fatto più storia, poiché la sua “storia”, in realtà, è stata decisa altrove, e fatta da altri, quelli che, dall’esterno, hanno scritto un’altra storia per Taranto, spacciandola per la “nostra” storia! Esempi concreti, per non rimontare alla notte dei tempi, sono chiaramente costituiti dall'insediamento dell’Arsenale e della base navale della Marina Militare nella seconda metà dell’Ottocento e, più recentemente, nella seconda metà del XX secolo, dall’Italsider (ora Ilva). Ed è appunto di questa espropriazione ciò di cui noi tutti, oggi, in ultima analisi, ci lamentiamo!  Se vogliamo, la stessa grottesca iniziativa di candidare Taranto a “Capitale europea delle cultura” per il 2019, naufragata ignominiosamente quanto inevitabilmente, è stata un ulteriore, chiaro sintomo della nostra sudditanza culturale, visto che è stata proposta, per evidenti interessi elettoralistici, dal Sindaco di Bari, piuttosto che dal nostro!
Sicuramente la storia di Taranto va rivalutata e salvaguardata: ma ciò vale per tutta la sua storia, non soltanto per una parte, sia pure importante, di essa! D’altra parte, come è facile intuire, avere alle spalle una storia plurimillenaria, come Taranto di fatto ha, significa che essa è assai stratificata  al suo interno e, pertanto, ogni semplificazione sarebbe oltremodo irresponsabile, oltre che anti-storica, soprattutto se fosse propugnata in nome di una malintesa fedeltà alle origini! Quanto appena affermato, per quanto necessario non è tuttavia ancora sufficiente, perché è altrettanto vero che una città (qualsiasi) non può vivere soltanto della sua storia, per quanto illustre essa sia: una città non può essere soltanto un museo o (peggio) un parco divertimenti a cielo aperto! Una città che ambisca a ritagliarsi un proprio ruolo anche all'interno del circuito turistico internazionale, deve essere una città viva, consapevole – certo - della propria storia, ma anche e direi, soprattutto capace di avere una propria voce, da farla vivere e interagire nella realtà odierna! Una città realmente consapevole di se stessa non costruisce una identità per scopi turistico-commerciali, quasi fosse un'attempata signora bisognosa di periodici ricorsi alla chirurgia estetica, ma lo fa in funzione e a misura dell’ambizione, della consapevolezza e della fattiva volontà dei propri cittadini, aperti a un continuo e proficuo scambio culturale con il mondo esterno! Solo questo processo può consentire ad una (qualsiasi) città di diventare appetibile anche agli occhi del turista, non il contrario!
Un esempio estremo, e certo inavvicinabile per Taranto, chiarirà immediatamente quello che intendo dire: una città come, ad es., New York ha forse avuto bisogno di creare un proprio brand per diventare quello che è? Ovviamente no! E non solo e non certo perché ha ben poca storia alle spalle (comunque nulla di paragonabile alla storia di Taranto), quanto piuttosto perché è stata capace di crearsi un proprio tessuto imprenditoriale e, di conseguenza, una vita e una identità culturale che ha pochi eguali al mondo! Ed è solo per questo motivo che New York è diventata la Grande Mela, cioè una delle mete turistiche più ambite! Non è stata La Grande Mela a creare il mito di New York!

Certo, ripeto, nessuno pretende che Taranto, per diventare una realtà degna di questo nome, debba scimmiottare New York (magari col simbolo de La Grande Cozza?) o qualsiasi altra capitale internazionale! Il significato di questo paragone sta semplicemente in questo: per diventare una realtà significativa, unica nel suo genere, Taranto non ha bisogno di iniziative estemporanee, quanto, piuttosto, di un lavoro lungo, paziente, difficile e diffuso, che crei nel tempo un tessuto socio-economico e culturale che metta capo, nel giro presumibilmente di qualche decennio, a una propria, ben individuabile identità, anche a livello internazionale. Per raggiungere l’obiettivo non basterà mettere una nuova statua al centro della piazza principale di Taranto, ma occorrono piuttosto scuole, università, centri di ricerca, giornali, riviste, teatri, imprenditori “illuminati”, editori, circoli intellettuali, una rete di movimenti spontanei e - perché no? - occorre anche una classe politica degna di questo nome e all'altezza del compito: tutti elementi indispensabili che, con buona pace dei pur volenterosi spartani locali, sono ancora tutti (o quasi) da costruire…
Tuttavia non è da credere che si debba partire da zero; infatti la strada è già stata aperta. In questi ultimi anni la nostra città ha vissuto un notevole salto culturale: è passata dalla monocultura industriale, impostale dall'esterno, e di cui quasi tutti andavamo più o meno acriticamente fieri, alla nascita di una nuova consapevolezza, quella di vivere piuttosto in una monocultura dell'inquinamento. Questa nuova consapevolezza, frutto di numerose e importanti mobilitazioni della cittadinanza, si sta prepotentemente facendo strada nella coscienza comune dei tarantini. Questo è indubbiamente un trampolino di lancio (non certo l'unico!) dal quale partire, per rilanciare non solo una nuova immagine, ma soprattutto per sviluppare una nuovo progetto per la città, attraverso il quale essa possa finalmente aprirsi non semplicemente al "futuro", bensì a un futuro diverso, frutto di una scelta autonoma, per dar vita a una nuova epoca nella Storia di Taranto!

venerdì 5 settembre 2014

La buona scuola di Renzy's

Una prima riflessione sul titolo: “La buona scuola – Facciamo crescere il Paese”.
Per iniziare, non possiamo far a meno di notare quanto sia singolare il fatto che la proposta di “riforma” della scuola partorita dall’attuale Governo, porti un titolo non burocratico, bensì uno squisitamente ideologico. A prima vista si tratta di un titolo che potrebbe essere superficialmente interpretato come “buonista”, com’è nella migliore tradizione piddina. Tuttavia, crediamo, a nessuno potrà sfuggire il retrogusto logico di questo apparente buonismo: se la scuola “buona” fa crescere il Paese, chi è contro questa “riforma” è, invece, fautore di una scuola cattiva e, quindi, in realtà vuole porsi come ostacolo alla crescita del Paese (non a caso siamo in recessione, e qualcuno potrebbe sentirsi autorizzato a pensare che sia tutta colpa della scuola)! Ma la cosa più stupefacente, che nelle intenzioni dovrebbe spiegare il motivo del titolo, viene dalle prime parole dell’Introduzione. Perché all’Italia serve la scuola “buona”? Perché - questa è la risposta - essa deve essere capace di “sviluppare nei ragazzi la curiosità per il mondo e il pensiero critico. Che stimoli la loro creatività e li incoraggi a fare cose con le proprie mani nell’era digitale”! Quindi, l’assunto di partenza, per il quale si rende necessaria la riforma, è che la scuola cattiva sinora non è stata in grado di stimolare la curiosità dei ragazzi e lo sviluppo del pensiero critico! Evidentemente Renzi, e lo staff del MIUR che ha redatto questo documento, ha in mente la scuola dell’epoca di De Amicis, o quella del libro e moschetto, e quindi la soluzione del problema va ricercata nella capacità di iniettare nel corpo docente, cioè in corpore vili, quella giusta dose di spirito di iniziativa, di avventura e di sacrificio che sono propri del mondo scoutistico! E vogliamo parlare del “fare cose con le proprie mani nell’era digitale”? A parte la sensazione piuttosto consistente, e comunque sgradevole, di una palese contraddizione logica che questa infelice espressione evidenzia, ma, la domanda reale è: sinora chi ha impedito alla scuola italiana di entrare nell’era digitale? I “cattivi maestri” o i Governi che negli ultimi anni hanno badato soltanto a tagliare a mani basse le risorse ad essa destinate? Infine, la domanda delle domande! Perché il Paese ha bisogno di questa riforma? Perché essa si propone di “dare al Paese una Buona Scuola dotandola di un meccanismo permanente di innovazione, sviluppo, e qua­lità della democrazia”! Vediamo più da vicino questo “meccanismo”!
Cap. 2 Le nuove opportunità per tutti i docenti: formazione e carriera nella buona scuola
Al centro del progetto renziano troviamo la necessità di dare impulso alla “qualità” del docente, i quali dovranno essere “valutati e responsabilizzati pubblicamente”, e dai quali “ci si aspetta che non insegnino solo un sapere co­dificato (più facile da trasmet­tere e valutare), ma modi di pensare (creatività, pensiero critico, problem-solving, ecc.)”. A tal fine verrà creato “un gruppo di lavoro dedicato e composto da esperti del settore [che] lavorerà per un pe­riodo di tre mesi per formulare il quadro italiano di compe­tenze dei docenti nei diversi stadi della loro carriera”!
 Come si opererà concretamente per realizzare questo tipo di competenze, delle quali sino ad ora la scuola italiana era evidentemente a digiuno?
“I docenti devono essere i pri­mi a potersi giovare di una formazione costante”, che non sia di ostacolo alla continuità didattica come sinora avvenuto”! Pur non riuscendo a comprendere come, sino ad ora, la formazione sia stata di ostacolo alla didattica, facciamo finta di nulla e chiediamoci: di che cosa si “gioveranno” i docenti? “Al docente va offerta l’opportunità di continuare a riflettere in maniera sistema­tica sulle pratiche didattiche; di intraprendere ricerche; di valutare l’efficacia delle prati­che educative e se necessario modificarle; di valutare le pro­prie esigenze in materia di for­mazione; di lavorare in stretta collaborazione con i colleghi, i genitori, il territorio”.
Ammesso e non concesso che, sino ad ora, i docenti non abbiano mai fatto riflessioni di questo tipo, tutti concentrati com’erano sugli scatti automatici di carriera, la domanda che a questo punto si impone è la seguente: ma è proprio vero che i docenti si “gioveranno” di questa nuova “opportunità” che viene loro così generosamente “offerta”? La risposta, inopinata, giunge immediatamente: “Per fare questo, bisogna ren­dere realmente obbligatoria la formazione, e disegnare un sistema di Crediti Formativi (CF) da raggiungere ogni anno per l’aggiornamento e da lega­re alle possibilità di carriera e alla possibilità di conferimen­to di incarichi aggiuntivi”. Ora, anche coloro che si occupano con tenacia e costanza di problem solving devono riuscire a spiegare come si riesca ad “offrire una opportunità”, da un lato, e renderla, dall’altro, obbligatoria per la progressione di carriera! Chiaramente ciascuno di noi è anche libero di rifiutare un'offerta così generosa, ma lo scotto da pagare sarà quello di rinunciare a un’altra opportunità: quella della progressione economica per anzianità di servizio! D’altro canto perché accanirsi nel ricercare una progressione economica, se gli stipendi sono quelli pubblicati a p. 49 del documento buonista? Quella che segue è infatti la tabella dei nostri emolumenti, secondo la visione renziana, davvero idilliaca, del mondo della scuola:



Ci chiediamo da dove Renzi, la Giannini o chi per loro abbiano ricavato una simile tabella?! Dal paese di Bengodi? Dall’ARAN tedesco o da quello inglese? Per quello che ne sappiamo i nostri compensi, fermi all’ultimo contratto stipulato nel 2009, sono invece i seguenti (N.B.: ad essi dovrà essere aggiunta la 13^ mensilità):


Due soli esempi per capire l’abisso esistente tra queste due tabelle. Prendiamo la posizione del docente laureato di scuola sec. di II°, con
anzianità da 0 a 2 anni: tabella buonista: prenderebbe 34.400 euro;
   tabella Aran: prende, in realtà, 20.973 euro! con
anzianità da 35 a…….: tabella buonista: prenderebbe 53.985 euro;
   tabella Aran: prende, in realtà, 32.912 euro!
Anche volendo aggiungere alle cifre del contratto reale (ARAN) la 13^ mensilità, si comprende bene l’abisso esistente tra realtà e fantasia buonista renziana! Ed è così per ogni scaglione o tipologia di lavoratore della scuola!
A quale scopo divulgare una simile, plateale menzogna?

Ma facciamo un passo avanti e chiediamoci per quale motivo dovremmo aderire alle nuove opportunità di carriera offerteci? Come dice il documento, intanto dovremo cogliere quest’attimo fuggente al fine di uscire dal “grigiore dei trattamenti indifferenziati”, che ci hanno obbligato sinora ad “accontentarci delle prospet­tive di carriere fondate sul mero dato dell’anzianità”.
            Queste parole potranno indurre qualcuno a credere che d’ora in avanti l’anzianità di servizio perderà la centralità che ha avuto sinora nella progressione stipendiale, per acquisire uno status subordinato rispetto al nuovo meccanismo di progressione che si intende introdurre, per affiancarlo. SBAGLIATO! La progressione per anzianità verrà semplicemente ABOLITA! NON ESISTERÀ PIÙ!
Essa sarà sostituita erga omnes da un nuovo meccanismo, che definire perverso è dir poco! Esso, infatti, si fonderà su dei crediti, che vengono così delineati:

 

 
Come si può facilmente intuire, da queste nuove disposizioni non solo sparisce l’anzianità di servizio, ma, di conseguenza, anche il lavoro che si svolge all’interno delle classi: un docente appena assunto e uno con 30 anni di servizio alle spalle sono, come ogni buonista sa, perfettamente identici, perché in realtà sono trascorsi, come insegna la relatività einsteniana col “paradosso dei gemelli”, 30 anni di vuoto assoluto!
In compenso, che cosa verrà premiato? In primo luogo la “qualità didattica”, che però il documento si guarda bene dal definire, nonché di spiegare come essa potrà mai essere “certificata” e, ovviamente, anche dall’opportunità di cogliere l’obbligatorietà della formazione “in servizio”; infine, entrano nella lista anche i crediti “PROFESSIONALI”: una definizione accattivante, astutamente utilizzata per definire tutte quelle attività che non hanno proprio nulla a che fare con la didattica reale e che, quindi, non hanno, in realtà, alcun carattere professionalizzante!

Veniamo all’ultima questione. A che cosa servirà accumulare questi crediti? Come abbiamo già detto essi costituiranno l’unica condizione indispensabile per accedere alla progressione economica! Come infatti viene specificato: “Periodicamente, ogni 3 anni, due terzi (66%) di tutti i do­centi di ogni scuola (o rete di scuole) avranno diritto ad uno scatto di retribuzione. Si tratterà del 66% di quei docenti della singola scuola (o della singola rete di scuo­le) che avranno maturato più crediti nel triennio pre­cedente”!
            Quindi, se è vero che, secondo le nuove disposizione, si potrà accedere agli aumenti soltanto grazie all’accumulo di “crediti”, ciò però non sarà comunque vero per tutti, ma solo per il 66% del corpo docente! Ma con quale meccanismo? Con quello che il documento definisce ipocritamente un “incentivo sano” (p. 58). Il 66% degli aventi diritto sarà infatti costituito – rileggiamo – da coloro “che avranno maturato più crediti nel triennio pre­cedente”! In altre parole, “l’incentivo sano” sarà una guerra di tutti contro tutti fra chi accumula più crediti degli altri!! Ma perché  tale incentivo riguarderà “solo” il 66% del totale? Lo spiega lo stesso documento con un candore che fa quasi dimenticare la spudoratezza dell’ammissione: “Le risorse utilizzate per gli scatti di competenza sa­ranno complessivamente le stesse disponibili per gli scatti di anzianità, distri­buite però in modo diffe­rente secondo un sistema che premia l’impegno e le competenze dei docenti. Ciò consente all’operazione di non determinare oneri aggiuntivi a carico dello Stato”!!!
Infatti, dal 2015 saranno totalmente aboliti gli scatti di anzianità automatici, e la nuova normativa premiale entrerà in vigore solo nel 2018!

Quindi, in mancanza di aumenti contrattuali (appena ribadita dal Min. Madia per la P.A.), senza scatti di anzianità, il 66% di volenterosi che si assoggetteranno docilmente o meno al nuovo meccanismo premiale, dovranno comunque attendere il 2018 per vedere i primi 60 eurini in saccoccia, maturati non solo grazie ai punti accumulati, facendo le scarpe agli altri, ma soprattutto grazie ai risparmi di spesa che lo Stato avrà nel frattempo accumulato ai danni di tutto il comparto scuola!