Ieri
sera Canale 5 ha trasmesso una lunga pubblicità inframmezzata dal film La grande
bellezza di Sorrentino. Questo mio riferimento può a prima vista apparire fuori luogo, specie per una recensione cinematografica; in realtà trovo questo particolare assai significativo, poiché
offre, a mio parere, una delle chiavi interpretative del pluri-premiato film del regista napoletano. La sensazione complessiva che ne
ho ricavato è un misto inestricabile di attrazione
e repulsione.
Come è
stato sottolineato da più parti, il film è un ritratto impietoso dell'Italia di oggi: la grande
bellezza dell’Italia (e di Roma in particolare) è sempre accompagnata, però, dalla grande
bruttezza dei suoi abitanti, in particolar modo della sua élite sociale e
culturale. La bellezza di Roma è talmente folgorante, che, come si vede nella scena iniziale, può uccidere: questa è infatti la fine che fa un turista asiatico, dopo aver immortalato, con l'immancabile macchina fotografica, un panorama mozzafiato della città eterna!
Sorrentino
ha realizzato un film che vuol essere un esplicito omaggio alla bellezza italica, e della sua capitale, attraverso un omaggio stilistico al grande Federico Fellini:
di qui la presenza in scena di suorine, di donne-cannone, ballerine, prostitute
e vecchi sporcaccioni.
Se vogliamo è il decadente disfacimento Cafonal della città eterna, che fa da perenne contraltare alla sua bellezza fisica; la metafisica presenza di una giraffa
all'interno delle rovine storiche della città, ricorda la tipica atmosfera circense di tanti film di Fellini.
Molto significativa
la figura della direttrice di una rivista culturale, la nana occhialuta, metafora
azzeccata dell’inanità del desolante panorama culturale italiano.
La figura
dell'intellettuale protagonista, Jep
Gambardella, che forse è il personaggio meno riuscito della pur
notevole carriera attoriale di Toni Servillo, sintetizza in sé i protagonisti di tanti film felliniani: dai Vitelloni, a Otto e mezzo a, ovviamente, la Dolce Vita. Ma appunto questo costituisce, a mio parere, un primo, grande difetto del film: perché, se
è ammissibile che un grande regista (quale Sorrentino indubbiamente è) voglia
omaggiare un grande del passato come Fellini, non è però francamente sopportabile
che un tale omaggio si protragga per l’intero film, tanto da caratterizzarlo
intimamente, sino al punto di rischiare di confondere il suo con uno o più
film del più illustre antenato!
In ogni caso, l'Italia dipinta da Sorrentino sembra per molti versi quell'Italia brutta e insensata che abbiamo imparato ad amare/odiare in tanti film della commedia italiana d'altri tempi! Essa è resa plasticamente dall'immagine della Costa Concordia accasciata su di un fianco, al largo dell'isola del Giglio; purtroppo in questo caso non abbiamo nessun capitano che ci gridi “Torni a bordo c****!” e, ancorché ci
fosse, sarebbe comunque troppo tardi…
Un altro elemento esteriore ci
offre, a mio parere, il vero senso del film: lo troviamo nella pubblicità che
la Fiat ha sapientemente costruito per l'occasione, e che ha inserito al
termine di ogni blocco pubblicitario, a mo' di introduzione alla visione della parte successiva del film: si tratta della
pubblicità della Fiat 500, guidata dallo stesso Sorrentino, che, con la sua voce fuori
campo, ci parla, appunto, della creatività italica, mostrandocene, orgoglioso,
un esemplare: la piccola grande bellezza della nuova Fiat 500!
Ma, come dicevo, ciò non mi sembra casuale, poiché è appunto
questa l'Italia che Sorrentino raffigura all'interno del suo film: un'Italia
che ormai non sa più che cosa sia la creatività, e che, esattamente come Sorrentino
ha fatto, imitando Fellini, ripete stancamente gli stilemi propri
della sua antica grandezza! Sorrentino ripete Fellini, così come la
FIAT ripete la sua auto storicamente più di successo: la 500!
Ma
della creatività, quella vera,
nessuna traccia!
Soprattutto manca, ma non è un difetto del film, bensì dell’Italia odierna, la creatività dei giovani. Non a
caso, della presenza di giovani non vi
è quasi traccia: solo qualche breve flashback
della prima esperienza amorosa del protagonista, che, guarda caso, ha
conosciuto l’unica età fertile, dal punto di vista intellettuale, appunto in
gioventù (e da allora non ha scritto più nulla, se non stupide interviste per
la rivista della nana); e il figlio, pazzo, e ben presto suicida, di Pamela
Villoresi. Poi, più nulla! In questo senso, un titolo che il film avrebbe meritato, sarebbe stato: Questo è un Paese
per vecchi debosciati!
Ma forse mi sono lasciato trascinare troppo dal facile
accostamento che il film di Sorrentino suggerisce: quello di un’Italia che
conosciamo benissimo, quell’Italia che ci ha ammorbato negli ultimi 20
anni; quell’Italia tipica espressione di un altro
nano, il N-Ano nazionale, la cui casa di produzione cinematografica (Medusa) ha
peraltro prodotto il film; il cui canale televisivo lo ha ieri trasmesso, e i cui incassi continueranno, nonostante tutto, ad arricchire!
Sembra un nicciano e inesorabile eterno ritorno dell’uguale…
Possiamo andare orgogliosi di una Italia di tal fatta, come dice Renzi, commentando da par suo, con un twitt (sic!), la vittoria di Sorrentino agli Oscar?