sabato 9 novembre 2013
Il Muro di Berlino va in pezzi.... e i cocci sono nostri!
Il 9 novembre di 24 anni fa il Governo dell'allora Repubblica Democratica Tedesca (DDR) decretò l'apertura del Muro che per quasi un trentennio aveva spaccato in due la città di Berlino. Con quell'atto, di portata indubbiamente "storica," veniva meno una divisione insieme fisica, ideologica, politica, economica, di mentalità e stili di vita, durata per oltre un quarantennio: cioè la divisione tra capitalismo e comunismo. In altre parole cadeva l'ultimo retaggio, nel cuore dell'Europa, di quella guerra fredda che aveva visto la confrontation tra Usa e Unione Sovietica che aveva caratterizzato tutto il secondo dopoguerra. Infatti di lì a poco sarebbe stata ammainata anche la bandiera sovietica dalla cupola che sovrasta il palazzo del Cremlino a Mosca!
In quella stessa indimenticabile estate dell'89, alle prime avvisaglie dello tzunami che avrebbe presto sconvolto tutti i paesi d'oltrecortina, apparve su di una rivista americana (The National Interest) un articolo, scritto da Francis Fukuyama, che avrebbe presto fatto il giro del mondo! Il titolo, assai significativo, era infatti: The End of History? (Fine della Storia?). In quell'articolo (successivamente ampliato in un libro) l'autore nippo-americano avanzava, su basi filosofiche invero assai traballanti, la tesi perentoria che, con il crollo del comunismo, la Storia-del-mondo era ormai finita! Perché? Perché il capitalismo e la democrazia liberale avevano trionfato definitivamente in tutto il mondo!
Apriti cielo! Fukuyama divenne una star dei media internazionali: anche i telegiornali italiani si affrettarono a intervistarlo, pur di carpire gli ultimi vaticini del novello oracolo di Delfi!
D'altra parte non è un caso che, appunto in quegli stessi anni, iniziò a circolare un neologismo, che ben presto sarebbe diventato il totem del Nuovo Mondo: quello di globalizzazione! Ormai il capitalismo internazionale - a partire da quello statunitense - poteva "riappropriarsi", quale legittimo bottino di guerra, di quei territori che per oltre un settantennio erano stati "sequestrati" dall'orco sovietico: ed era appunto per questi popoli, per primi, che si schiudeva un futuro luminoso, fatto di felicità, libertà, benessere e progresso! La stessa Europa, pur di non rimanere con le mani in mano, ed approfittare della situazione, iniziò ad attrezzarsi per affrontare adeguatamente le nuove "sfide" della globalizzazione, avviando il processo che, un decennio più tardi, avrebbe portato alla nascita dell'euro...
Ma, come forse qualcuno ricorderà, non facemmo a tempo a scorgere i primi raggi di sole di questo futuro promettente che, inopinatamente, iniziarono a scoppiare guerre dappertutto! Guerra nella ex-Jugoslavia, guerra del Golfo; poi venne l'11 settembre e giù con l'Iraq, Afghanistan, e poi su fino all'attuale crisi siriana...
....E che dire poi dello stato di salute del capitalismo globalizzato?
Dopo 6 anni di profonda crisi dell'economia globale, che molti analisti considerato la peggiore da (se non peggiore di) quella del '29, ciascuno di noi ha avuto modo di farsi un'idea molto chiara della fetta di "prosperità" che in questi anni gli è stata assicurata dal "capitalismo trionfante"... L'ironia della Storia (forse perché siamo alla sua fine?) è che l'unico Paese al mondo che ha tratto evidente vantaggio dalla globalizzazione capitalistica è stato il solo paese al mondo che - almeno sulla carta - si definisce ancora "comunista": la Cina, dove indubbiamente vige il capitalismo, ma non certo la democrazia "liberale"...
La crisi del capitalismo è, anzi, talmente profonda che, addirittura, molti giornali e riviste statunitensi non solo non parlano più di F. Fukuyama (ormai caduto nell'oblio), ma addirittura avanzano timidamente l'ipotesi che "forse" K.Marx avesse ragione.... Forse?
martedì 5 novembre 2013
Dal Positivismo al Decadentismo
Sul
finire del XIX secolo si assiste in Europa ad un radicale cambiamento delle
idee dominanti tra le élite
intellettuali del continente: dopo la grande epopea positivista, nell’arco di
pochi anni si assiste a un rovesciamento completo dei suoi valori. Tutti i
principi e i valori sui quali si era basato il Positivismo vengono
progressivamente criticati e abbandonati, a favore di una nuova concezione di
pensiero che nel frattempo si è fatta strada: il nichilismo (dal latino nihil = nulla).
Per
comprendere i motivi più profondi che condurranno a una simile rivoluzione dobbiamo
necessariamente riferirci alle trasformazioni sociali ed economiche che
investono l’Europa (e il mondo intero) in questo stesso torno di tempo: saranno
infatti tali trasformazioni la causa immediata che ci consentirà di comprendere
la loro genesi.
Sappiamo
che nell’ultimo quarto del sec. XIX l’Europa è investita da una lunga depressione economica, che mette a dura prova, laddove esistono, le
fragili strutture politiche liberali degli Stati europei. La crisi economica
avrà profonde ripercussioni sociali e politiche: grande affermazione dei
movimenti politici e sindacali di ispirazione socialista; rivolte di massa
contro una struttura statuale vissuta come oppressiva, e interpretata dalle masse
sempre più politicizzate come espressione della difesa dei privilegi della
classe borghese dominante. La “crisi di fine secolo”, che investirà l’Italia
nell’ultimo biennio dell’800, ne è un esempio eclatante.
Col
diffondersi della crisi economica viene dunque meno uno dei pilastri fondamentali
del pensiero positivista: la fiducia nel progresso, a cui era
correlata la certezza che il domani sarebbe stato migliore dell’oggi. Tale cieca fiducia è invece minata dal fatto
che ogni giorno si fa esperienza di una situazione diametralmente opposta: il
futuro è ormai visto con crescente angoscia e con sempre più motivato timore.
Come
si traduce tutto questo in campo filosofico?
L’esito
è piuttosto scontato: se i valori sui quali la società europea si era fondata
per gran parte dell’Ottocento si erano rivelati fallaci, era evidente che a
questo punto essi dovessero essere abbandonati, in quanto avevano ormai
rivelato la propria erroneità di fondo. Ma il punto è questo: da quali altri valori sarebbero stati sostituiti? Approfondiamo questo
passaggio essenziale, facendo un passo indietro.
Nel
suo Cours de philosophie positive, A.
Comte aveva affermato che l’intera storia umana poteva essere riassunta in tre stadi successivi:
1)
Religioso
2)
Metafisico (o
filosofico)
3)
Positivo (o
scientifico).
Se intorno alla metà dell’800 Comte auspicava che
l’umanità entrasse di gran carriera nell’ultimo stadio, quello positivo o
scientifico, assicurandosi così un radioso futuro, la fine dell’Ottocento vede,
invece, come abbiamo detto, il tramonto di questa ipotesi, rivelatasi illusoria
e fallace. A chi dobbiamo questa nuova
consapevolezza? Al filosofo tedesco F.
Nietzsche (1844-1900).
Per la precisione: la Religione
aveva subito una prima profonda critica ad opera dell’Illuminismo settecentesco: le “verità” di fede non avevano infatti superato
il vaglio della Ragione, poiché non erano razionalmente dimostrabili e perciò
potevano essere accettate soltanto – appunto – per fede. Tale critica si approfondirà ulteriormente nella prima metà
dell’800 grazie all’idealismo filosofico tedesco, in particolare con G.W.F.
Hegel (1770-1832) e, successivamente,
grazie ai suoi epigoni materialisti: L.
Feuerbach (1804-1872) e K. Marx (1818-1883).
In
secondo luogo, la stessa Filosofia, che era stata la
protagonista della messa in crisi del pensiero religioso, sarà a sua volta inevitabilmente
coinvolta in una crisi di identità a causa del trionfante pensiero scientifico,
che ogni giorno dimostrava praticamente
le verità delle proprie teorie, condannando come speculazioni astratte, e prive
di valore reale, le astruserie teoriche dei filosofi.
Ma proprio quando sembrava che il trionfale
cammino della scienze non dovesse avere più termine, giunge inopinata, come si
è detto, la crisi!
In realtà è appunto il continuo
rivoluzionamento delle teorie scientifiche che porta a dubitare delle verità di
cui esse si dicono portatrici: e questo è meno paradossale di quanto a prima
vista possa apparire!
Se con lo sguardo analizzassimo la Scienza nel suo insieme, cioè non come una semplice raccolta di teorie che si sommano le une alle altre, bensì come una storia di tali teorie, allora vedremmo che ogni epoca
storica è stata caratterizzata da una determinata teoria scientifica: tale cioè
che le sue verità erano le uniche considerate valide in quel dato momento (poiché avevano ottenuto
delle verifiche sperimentali) e, per ciò stesso, indiscutibili! Ogni
scienziato, infatti, nel formulare la propria teoria, non si sognerebbe mai di affermare: questa
mia teoria vale sino al giorno x; quanto piuttosto: con questa teoria io spiego
come va il mondo, ora e sempre, dimostrandolo sperimentalmente! Una teoria, cioè, è scientifica appunto perché le sue leggi sono universalmente ed eternamente
valide! Altrimenti non sarebbe una teoria scientifica! E tuttavia noi sappiamo
che, col passare del tempo, bene o male tutte
le teorie scientifiche (che si ritenevano eterne) sono state confutate da nuove teorie, e soppiantate da queste
ultime. Ovviamente anche le nuove
teorie pretenderanno per sé il carattere di assolutezza
e universalità erroneamente preteso
dalle precedenti teorie.
In altre parole, con il pensiero
scientifico siamo in un certo senso periodicamente costretti, come in un
gigantesco, quanto perverso, gioco dell’oca, a ritornare alla casella di
partenza e ricominciare tutto daccapo!
Colui che per primo si rese conto del relativismo insito nelle verità
scientifiche fu, appunto, F. Nietzsche. La sua concezione nichilista discende
appunto dalla constatazione (angosciosa) che l’uomo moderno si trova di fronte
alla necessità di dover fare i conti con questa cruda verità: sono ormai venute
meno tutte le verità (religiose, filosofiche, scientifiche); tutti i “valori”
nei quali l’uomo aveva sino a quel momento creduto si sono rivelati delle pie
illusioni, cioè delle costruzioni teoriche partorite dalla mente umana non allo
scopo di comprendere il mondo, bensì per (tentare di) dominarlo. In altri termini
si tratta di teorie antropomorfiche
(cioè fatte a somiglianza dell’uomo, loro creatore, e non, come si era sino ad
allora creduto, “oggettive” o “naturali”) con le quali l’uomo ha tentato di soggiogare
il mondo. Esse pertanto non sono altro che l’espressione della “volontà di
potenza” che l’uomo dispiega sul mondo;
un dominio che però è del tutto illusorio, appunto perché quelle teorie non
sono “vere”, bensì, al massimo, sono semplicemente “utili”, e lo sono, peraltro,
soltanto per un periodo limitato di tempo!
Chi è l’uomo che potrà sopportare di convivere con
questa amara verità? Sarà, secondo Nietzsche, il Superuomo (Ubermench), il quale, dall’alto della
sua “sapienza” potrà guidare (e/o dominare) gli uomini-gregge ancora succubi
delle credenze religiose, filosofiche o scientifiche…
Una teoria, questa, che troverà la sua tragica
apoteosi col nazismo…
Ma torniamo a noi…
Dunque, poiché ogni tentativo che l’umanità ha
esperito nel corso della sua intera storia per comprendere la realtà
circostante si è rivelata un’illusione, all'intellettuale nichilista non rimane
altro che riabilitare e dare nuova credibilità a quanto sino ad allora era
stato oppresso e screditato, in particolare dalla scienza: cioè ormai non rimane
che rivolgere il proprio sguardo al dato della propria coscienza, le cui
sensazioni (e/o percezioni) sono le uniche che hanno valore, in quanto
suffragate dalla “certezza” che ognuno ha dei propri stati di coscienza. Da qui
parte il simbolismo francese che sarà l’antesignano di una nuova
corrente letteraria che, ancora una volta, prenderà le mosse dalla Francia per
poi estendersi all'intero continente: il Decadentismo.
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