Nel mondo cattolico ha suscitato grande scalpore il messaggio inviato dal Papa emerito Benedetto XVI per ricordare il cardinale Joachim Meisner, morto il 5 luglio scorso, per venticinque anni arcivescovo della città di Colonia e, soprattutto, suo grande amico.
Quali i motivi di tanta ambascia?
Iniziamo col dire che Papa Ratzinger, commemorando il defunto cardinale, ha sottolineato che egli si è innanzitutto distinto per il "grande amore per le chiese dell’Europa dell’est che tanto soffrirono la persecuzione comunista”: e già questo è un primo indizio. Ma le affermazioni più degne di nota sono contenute nella conclusione:
“Quello che mi ha colpito particolarmente nei recenti colloqui con il cardinale defunto sono state la serenità, la gioia interiore e la fiducia che aveva trovato. Sappiamo che era un pastore appassionato, e l’ufficio di pastore è difficile, proprio in un momento in cui la Chiesa ha bisogno di pastori convincenti che sappiano resistere alla dittatura dello spirito del tempo e sappiano decisamente vivere con fede e ragione. Mi ha commosso anche il fatto che ha vissuto in questo ultimo periodo della sua vita sempre di più con la certezza profonda che il Signore non abbandona la sua Chiesa, anche se a volte la barca si è riempita fino quasi a capovolgersi” [nostro corsivo].
Per molti estimatori di Papa Bergoglio (come Alberto Melloni e Massimo Fagioli) queste parole sono suonate come un attacco implicitamente diretto contro di lui e contro l'operato del suo pontificato. Per quale motivo? Per comprenderlo dobbiamo fare una veloce disamina della biografia del defunto.
Intanto, occorre sapere che quando nel 1989 prese possesso della diocesi di Colonia, Meisner fu criticato dagli ambienti cattolici della città perché ritenuto estraneo al clima progressista del cosiddetto "Cattolicesimo renano" e alla mentalità della Chiesa locale. Da alcuni politici fu addirittura definito un "predicatore di odio"! Perché? Ecco alcune "chicche":
Nel 2003 Meisner emise una direttiva che vietava i matrimoni misti tra cattolici, ebrei e musulmani.
Nell'omelia dell'Epifania del 2005 fece un parallelo tra l'aborto e la Shoah.
In un articolo pubblicato dal Frankfurter Allgemeine Zeitung il 1° agosto 2009 si dichiarò contrario all'adozione di bambini da parte di coppie omosessuali.
Nel settembre del 2007, in occasione del discorso per l'apertura della nuova sede del museo diocesano, affermò che la cultura era legata al culto di Dio: "Non dimentichiamo che c'è un rapporto tra cultura e culto. Dove la cultura è scollegata al culto essa si solidifica in pratiche di ritualismo e cultura degenerata". Questa frase venne considerata da molti un allusivo richiamo al concetto nazista di "arte degenerata", provocando numerose reazioni critiche.
Il 16 gennaio 2013 si seppe che a una donna violentata era stata negata la prescrizione della "pillola del giorno dopo" in due ospedali cattolici. Il cardinale Meisner intervenne il 22 gennaio, scusandosi con la vittima, ma stigmatizzando comunque l'uso della "pillola del giorno dopo", visto che la Chiesa ha come stella polare la protezione assoluta della vita.
A metà settembre del 2016 il cardinale Meisner con i cardinali Carlo Caffarra, Walter Brandmüller e Raymond Leo Burke inviò a papa Francesco e alla Congregazione per la dottrina della fede una lettera in cui, tramite cinque dubia, chiedeva chiarimenti su alcuni passaggi poco chiari della seconda esortazione apostolica Amoris laetitia del Papa. Il 14 novembre successivo i cardinali resero pubblica la lettera poiché il pontefice non aveva dato alcuna risposta. Alla fine del mese il decano del Tribunale della Rota Romana Pio Vito Pinto accusò i quattro cardinali di aver "suscitato un grave scandalo".
Dulcis in fundo, Meisner era un grande estimatore dell'Opus Dei e del suo fondatore Josemaría Escrivá de Balaguer, in odor di fascismo e affarismo, ma, ciononostante, canonizzato da Giovanni Paolo II nel 2002.
Non c'è che dire: il card. Meisner aveva un curriculum ineccepibile per un perfetto reazionario!
Da questo punto di vista, dunque, si comprende perfettamente come, agli occhi di papa Ratzinger, il card. Meisner sia perfettamente riuscito a "resistere alla dittatura dello spirito del tempo"! Il suo Zeitgeist, come quello di Ratzinger e del loro nume tutelare, Giovanni Paolo II, era totalmente refrattario alle "aperture" verso i tempi moderni che, sia pure molto timidamente, e a fronte di notevoli resistenze interne, soprattutto da parte delle gerarchie, sembra voler imprimere alla Chiesa il loro successore Papa Francesco. Se poi Meisner sia stato anche un "pastore convincente", questo lo lasciamo al vostro giudizio...
Un altro riferimento contenuto nel messaggio di Ratzinger, che ci pare molto significativo, è quello in cui si afferma che i pastori come Meisner "sappiano decisamente vivere con fede e ragione". Non ci sembra un riferimento casuale: Fides et ratio è stata probabilmente la più importante enciclica, dal punto di vista teologico, scritta da papa Giovanni Paolo II.
In quella Enciclica, pubblicata nel 1998, il papa polacco affrontò l'annosa questione teologica dei rapporti tra fede e ragione: la parziale rivalutazione della seconda, che vi veniva riconosciuta di contro a una certa tradizione teologica, non cancellò comunque la primazia che, per un buon cattolico, la fede deve comunque mantenere sulla ragione. Il suo successore, papa Ratzinger, si è sempre scrupolosamente attenuto a questa visione, sottolineando il pericolo che incombe sulla fede: quello della "dittatura del relativismo", propria delle verità di ragione, dominanti nella nostra epoca, di contro all'assolutezza delle verità di fede.
Se, dunque, lo "spirito del tempo" è null'altro che la ragione laica -dimentica dei propri limiti - che impone la propria dittatura, allora sarà soltanto un uomo di fede, che sappia però riconoscere i limiti della ragione, a potergli resistere! Al contrario, chi, all'interno della Chiesa, si fa pedissequo esecutore delle istanze dello "spirito del tempo", sarà giocoforza costretto a sottomettere la propria fede alla dittatura della ragione!
Ma la Chiesa odierna corre davvero questi pericoli? Pare proprio di sì, visto che Ratzinger chiude il proprio messaggio con un vero e proprio schiaffo: "Mi ha commosso anche il fatto che [Meisner] ha vissuto in questo ultimo periodo della sua vita sempre di più con la certezza profonda che il Signore non abbandona la sua Chiesa, anche se a volte la barca si è riempita fino quasi a capovolgersi”!
Ora, se si tien conto che l'ultimo periodo della vita di Meisner è coinciso con il papato di Bergoglio, risulta evidente che, agli occhi del papa emerito, proprio in questo torno di tempo la Chiesa sia stata una barca che "si è riempita fino quasi a capovolgersi”! Ratzinger sembra in altre parole dire, senza troppi indugi, che la Chiesa di Bergoglio è una barca sempre in pericolo di naufragio! E questo perché? Perché la barca di Bergoglio, evidentemente più attenta a soddisfare il desiderio di pulizia morale che lo "spirito del tempo" impone, ha ormai abdicato ad esso e ha perciò sottomesso la fede alla dittatura della ragione laica!
Dopo queste parole, l'ala cattolica più retriva si è scatenata contro Bergoglio, già da tempo visto come colui che sta affossando, e affosserà definitivamente la Chiesa cattolica. Tanto più che questa interpretazione trova, per loro, conferma nelle profezie legate più o meno direttamente al "Terzo segreto di Fatima", che vedono in Bergoglio, in quanto gesuita, il "papa nero", colui cioè che chiuderà la storia della Chiesa, preannunciando la venuta dell'Anticristo...
Ecco fin dove può spingersi una "fede" completamente chiusa alla "ragione"...
Quale interesse possono rivestire per un laico queste vicende interne alla Chiesa? Esse dimostrano ancora una volta che anche quel mondo chiuso, e per molti aspetti impenetrabile, i cui segnali vanno di volta in volta "interpretati" con beneficio di inventario, è percorso da lotte intestine che nel mondo dei comuni mortali vengono abitualmente interpretate come un chiaro scontro tra ideologie o visioni di "destra" e di "sinistra": divisioni che, lungi dall'essere state superate dalla Storia, lambiscono e condizionano - oseremmo dire: inevitabilmente - lo stesso soglio di Pietro!
lunedì 17 luglio 2017
domenica 18 gennaio 2015
VENDOLA SU TARANTO & ILVA: “Questo matrimonio s’ha da fare”!
Nei
giorni scorsi il Governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, è stato
convocato in audizione dalla Commissione
Industria al Senato nell'ambito dell’esame del decreto Ilva, l’ennesimo
varato dal Governo Renzi. La prolusione di Vendola è stata degna della
sua proverbiale prosa: “Se dovesse chiudere l’Ilva dubito che potremmo essere
di fronte alla possibilità di dibattere del futuro di Taranto: oggi si può
avere un’acciaieria sostenibile. La chiusura dell’Ilva sarebbe un colpo al
sistema industriale nazionale”.
Una prosa accattivante, che proviamo a tradurre in maniera più stringata: senza
Ilva Taranto morirebbe; l’Ilva può diventare eco-compatibile; la chiusura dell’Ilva
manderebbe a gambe all'aria l’industria nazionale! Tre affermazioni fatte –
suppongo - in ordine decrescente di importanza; purtroppo si tratta di tre
affermazioni, di cui almeno due sono false,
fatte al solo scopo di nascondere l’unico punto che davvero interessa:
difendere a ogni costo l’economia nazionale!
Sia chiaro, lo stesso Governatore pugliese non ha mancato di
sottolineare le debolezze dell’ultimo decreto ammazza-Taranto partorito dalle
menti eccelse del Governo del rottamatore, pur di scongiurare, quasi fuori
tempo massimo, la rottamazione dello stabilimento. Infatti Vendola chiede in primo
luogo di cassare la norma che considera sufficiente l’attuazione dell’80% delle
prescrizioni AIA (Autorizzazione
Integrata Ambientale) in materia di risanamento dello stabilimento.
Tuttavia il Governatore dimentica di aggiungere che quell’80%,
ora concesso, non riguarda l’intero pacchetto di prescrizioni, bensì soltanto
quelle che andranno in scadenza al 31 luglio del 2015, che, all'interno
dell’originario piano dell’AIA, rappresentano in realtà ben poca cosa! Tanto
che lo stesso Vendola continua: "Ci chiediamo perché proprio l’80%? Siamo di fronte a una nuova proroga?".
NO, caro Vendola, siamo di fronte a
una cancellazione
sostanziale del piano originario! Infatti, lo stesso Vendola sembra
avere sentore della presa per i fondelli rappresentato da questo ennesimo
decreto e continua: “Parliamo di interventi indispensabili, come per
esempio quelli sui parchi minerali, per la data che va dal 31 luglio 2015 in poi”!
In effetti quello del “parco minerali” è uno dei punti più
dolenti dell’intera questione ambientale costituita dall’Ilva: non solo perché
è quello più vicino alla città (all’ormai tristemente famoso Rione Tamburi), ma
proprio perché è uno dei maggiori fattori di inquinamento (anche se purtroppo non
certo l’unico!), la cui ambientalizzazione richiede però considerevoli
investimenti economici! Ma poiché la prescrizione riguardante i parchi minerari
va appunto oltre la data del 31 luglio 2015, essa non solo non rientrerà
nel fatidico 80%, venendone di fatto esclusa, ma verrà rimandata sine die, senza cioè più alcun
vincolo temporale per la sua effettiva realizzazione! Se a questo si aggiunge la
non
punibilità penale del commissario di governo; il principio del “silenzio-assenso”,
per il quale tutte le amministrazioni locali hanno tempo un mese per proporre le eventuali
obiezioni ai piani di riqualificazione; che nulla vien detto circa l’utilizzo
delle discariche interne allo stabilimento (già sottoposte a sequestro dalla
magistratura tarantina, ma, tanto per cambiare, dissequestrate dal precedente
decreto); o, ancora, che non vi è alcuna certezza circa le risorse finanziare
effettivamente destinate a tali piani; o, infine, che non è previsto alcun potenziamento
dell’organico dell’Arpa regionale, già largamente sottodimensionata, dall'insieme
di queste (assai parziali) considerazioni risulta francamente incomprensibile
il motivo per il quale Vendola si spinge ad affermare che, purtuttavia, vi sono
alcuni aspetti del decreto “che valutiamo positivamente, come l’introduzione del nuovo
protagonismo dello Stato”!!!
Alla faccia del protagonismo statale! Che la privatizzazione dell’Ilva, svenduta negli anni ’90 alla
famigerata banda di assassini costituita dalla famiglia Riva, sia stata un
disastro sotto tutti gli aspetti (economici, ambientali, sanitari, sindacali e
politici), non c’è alcun dubbio! Ma che la riacquisizione in mani pubbliche,
con i soldi del contribuente, e alle condizioni or ora menzionate,
possa essere considerata un “positivo protagonismo
dello Stato” ha il sapore di una vera e propria beffa! È una affermazione
che soltanto uno che mente, sapendo di mentire, può azzardarsi a fare! È
una chiara presa per i fondelli che ha l’aggravante di nascondere, imbellettandola, la
presa per i fondelli già costituita dall'ultimo decreto-Ilva del Governo! In
altre parole, è una presa per i fondelli elevata al quadrato!
Ma ci sono almeno altre due considerazioni che è
necessario fare per completare questo quadro demenziale!
L’affermazione
iniziale di Vendola, secondo la quale lo stabilimento dell’Ilva potrà diventare
eco-compatibile, non solo è un’affermazione priva di fondamento, ma è già stata
provata come falsa! E non da qualche ambientalista arrabbiato dell’ultima
ora, bensì dallo studio “Sentieri” dello stesso Ministero della Salute. Da
questo studio si evince che anche qualora venissero attuate, nei tempi originariamente
previsti, tutte le prescrizioni AIA (che l’ultimo decreto, invece,
praticamente cancella o indebolisce), l’impatto di alcuni inquinanti si
ridurrebbe, altri rimarrebbero pressoché inalterati; altri, invece, addirittura
aumenterebbero! In ogni caso rimarrebbe un danno sanitario residuale che coinvolgerebbe
una popolazione stimata intorno alle 12.000 unità! Vi sembra un danno accettabile?
Tale da legittimare l’affermazione circa l’eco-sostenibilità dell’Ilva risanata
a spese dello Stato (cioè con i soldi dei soliti noti)? L’unica certezza che abbiamo a tale
riguardo è che, di fronte a tali numeri, la Procura della Repubblica di Taranto
sarà costretta a sequestrare nuovamente gli impianti Ilva, con
buona pace per il “rinnovato protagonismo
dello Stato” vendoliano!
E
veniamo all’ultimo punto del problema sollevato dall'intervento di Vendola: perché
tanto entusiasmo per il presunto “rinnovato protagonismo" statale? E’ evidente che
questa fede cieca è un rigurgito di quello statalismo picciota che si trova nel
DNA ideologico di Vendola. Una delle caratteristiche ideologiche che più di
ogni altra ha caratterizzato il P.C.I. del bel tempo che fu, è stata infatti quella di una fiducia pressoché illimitata nei confronti dell’interventismo
statale in economia, quasi fosse un preludio (per i militanti in buona fede,
s'intende!) per la realizzazione del comunismo (che prevede infatti la
completa socializzazione del mezzi di produzione)!
Peccato
che, all'epoca, all'interno del PCI nessuno si chiedesse, o forse alcuni
omettevano volutamente di chiedersi, che tipo di “Stato” procedeva
a quelle nazionalizzazioni? Se si trattasse di uno Stato borghese (come di fatto
era) piuttosto che uno Stato proletariato (ancora ben al di là da
venire)! Con un criterio così ideologicamente equivoco, in quanto
creatore dell’IRI, lo stesso Mussolini avrebbe avuto ben diritto a comparire in
effige al fianco di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao Tse-tung. E che dire di Moro, La Pira, Fanfani o Mattei? Non scherziamo! Non
diciamo idiozie!
Il rinnovato statalismo vendoliano, erede più che legittimo di
quello picciota di un tempo, non è altro che una sanzione ideologica, nemmeno tanto ben mascherata, che vuole plaudire piuttosto all'interventismo renziano finto-rottamatore! Si tratta, in altre parole, di una
confezione scintillante che serve ad attirare gli ingenui e i dubbiosi; uno specchietto per le
allodole che serve peraltro a dare legittimità a un altro principio supremo,
strettamente connesso a questo, di cui parlavamo all'inizio: l’interesse
nazionale!
Ma
di quale interesse stiamo parlando? Degli interessi dei cittadini a non
vedersi sfruttati, a poter vivere una vita degna e libera dall'incubo del
bisogno e della malattia, a non dover essere costretti a scegliere tra
lavoro o morte, o dell’interesse dei soliti padroni del vapore? È ammissibile
che un individuo che proviene da una ideologia cosiddetta “comunista” possa confondere
le due cose, mistificandole così spudoratamente? Certo, “l’interesse nazionale”
esige che Taranto continui a produrre acciaio, magari un po’ più “pulito” del
solito, senza stare tanto a sottilizzare sul numero di morti che comunque
continuerà a portarsi dietro! Perché l’interesse nazionale esige questo e
altro! L’interesse nazionale non ha alcun interesse a immaginare una
Taranto diversa, che possa vivere senza l’Ilva e il suo acciaio (come pure senza la Marina Militare e le sue navi da guerra, non meno inquinanti di quella)! Se non vuole farlo, perisca
pure come Bagnoli! Al massimo ai cittadini di Taranto l'interesse nazionale tributerà il riconoscimento estremo di una medaglia alla memoria per aver
servito, con sprezzo del pericolo, gli interessi della Patria di
Vendola & C.!
martedì 13 gennaio 2015
giovedì 8 gennaio 2015
DICHIARATA LA GUERRA SANTA CONTRO L’ISLAM!
A meno di 24 ore dall’esecrabile attentato omicida
perpetrato contro l’intera redazione del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, si è scatenata in tutta Europa, come era d’altra parte facilmente
prevedibile, la canea reazionaria che, col sangue agli occhi, invoca, promuove
ed esige una risposta ferma e immediata dell’Occidente tutto non soltanto contro
i terroristi attentatori, ma addirittura contro l’intero islam!
Si va dalle reazioni – si fa per dire – più blande
del Financial Times, che accusa i
redattori del Charlie, di aver continuamente provocato i mussulmani con le
loro vignette contro Maometto, e che, quindi, in qualche modo “se la sarebbero
cercata”, dimenticando però di aggiungere che il settimanale francese, essendo
un giornale libero, oltre che di sinistra, metteva sistematicamente alla
berlina tutte le religioni, compresa
quella cattolica ed ebraica, oltre che gli uomini politici più in vista!
Si
passa poi alle dichiarazioni più retrive espresse da Marine Le Pen, il nero astro emergente della politica
francese, che pretende la pena di morte per gli assassini islamici: ma da lei
non ci si poteva certo aspettare nulla di meno; all’immancabile intervento del
suo sodale italiano, il segretario legaiolo Matteo Salvini, che invita tutti a
unirsi con fierezza in difesa dei “nostri” comuni
valori culturali e identitari, ora minacciati! Infatti, quasi
nelle stesse ore, il direttore del noto giornalaccio “culturale” Libero, Maurizio Belpietro, ha affermato
senza mezzi termini che ormai non bisogna più illudersi, perché “il nostro vero nemico è l’islam”! Gli fa
immediatamente eco la rediviva Daniela Santanché, con parole che sembrano scolpite
nel fuoco della sua furiosa rabbia: “Oggi c’è stata dichiarata guerra!” Lo
stesso Ministro degli Esteri italiano, il piddino, ultra-cattolicissimo Paolo
Gentiloni si dice pronto ad un’azione di forza
contro l’Isis!
In
altre parole, la macchina da guerra si è messa immediatamente in moto, almeno
dal punto di vista ideologico.
La cosa solo apparentemente strana è che tutta la
destra europea più cattolica, retriva e reazionaria si sia mobilitata
all’istante, come un sol uomo, per chiedere di vendicare nel modo più fermo la
morte di alcuni vignettisti satirici, che, guarda caso, erano tutti di estrema sinistra!
Che cosa avevano in comune dal punto di vista
culturale, politico e ideologico questi uomini di sinistra (per lo più comunisti o anarchici) con la Le Pen, Salvini,
o Gentiloni? Niente di niente!
Anzi, se c’è una contiguità culturale che va
evidenziata, questa è piuttosto ravvisabile in quella chiaramente esistente tra
i terroristi assassini e tutti coloro che oggi si ergono a loro inflessibili boia!
E la cosa è meno paradossale di quanto possa apparire a prima vista: perché
come quegli assassini che hanno sparato per le strade di Parigi contro degli
inermi intellettuali, anche costoro, i vari Salvini, Le Pen, Belpietro ecc.,
predicano l’uso delle armi, per il puro gusto della vendetta; e lo fanno in nome e a difesa di analoghi valori culturali: quelli religiosi! Come i primi, che nella loro furia idiota e assassina
pensano di difendere i valori dell’islam, anche i secondi vogliono sfoderare le
loro spade in difesa del cristianesimo occidentale minacciato! Alla guerra santa come alla guerra santa!
Chi, allora, sta mettendo maggiormente in
discussione, in questo momento, i veri
valori culturali dell’occidente: i terroristi islamici o alcuni dei loro stessi nemici occidentali?!
Tutti gli intellettuali illuministi, francesi e non,
che hanno predicato la tolleranza, l’uso della ragione, il carattere educativo
delle pene, ecc., in questi giorni si staranno rivoltando nella tomba! Quegli
idioti che più o meno velatamente predicano la superiorità culturale
dell’Occidente, contro l’islam retrivo, che esempio di “superiorità” stanno
dimostrando in queste ore al mondo intero? Stanno andando indietro nel tempo a
passo di carica; stanno appunto ritornando a quella “civiltà” oscurantista,
repressiva e intollerante, di cui accusano essere portatori i loro avversari; perché,
da buoni cattolici quali quasi sempre sono, essi sono pronti a vedere il fuscello nell'occhio dell’avversario, piuttosto che la trave presente nel proprio! E
tutti costoro stanno cercando di convincerci che è giusto sentirci oggi tutti
uniti intorno a questi (loro) “valori”, per essere magari pronti al sacrificio
estremo per difenderli!
Eppure nessuno di costoro si ritraeva indignato o
faceva lo schizzinoso quando i loro rispettivi Governi (di destra o di “sinistra”
che fossero!) andavo a sottoscrivere accordi miliardari con quegli Stati retrivi,
come ad esempio, l’Arabia Saudita (che quanto ad oscurantismo non è certo seconda a nessuno!), gli Emirati Arabi, Dubai, il Quatar, ecc. ecc. Da nessuno di
costoro si è mai levata in quel momento una sola voce di condanna! Ed oggi,
dimentichi delle nefandezze da loro stessi perpetrate sino a ieri, costoro si ergono a giudici inflessibili, che, dall’alto
della loro presunta dirittura morale, si sentono in diritto di poter giudicare
tutto e tutti e di indicare agli altri
i compiti che l’urgenza del momento impone! Vergogna! Ecrasez l’enfame! avrebbero gridato gli intellettuali illuministi
del settecento! Questi loschi individui, che oggi si gonfiano il petto di vibrante
indignazione, non soltanto sono degli ipocriti, ma, soprattutto, sono dei pericolosi ipocriti assassini, che oggi
come ieri sono pronti a mandare al massacro degli innocenti per continuare
tranquillamente a coltivare i loro loschi, luridi affari!
mercoledì 7 gennaio 2015
MISERIA DELLA SOCIOLOGIA: QUANDO IL PD PARLA DI “SINISTRA”…
L’altra sera, nella cornice di una nota libreria tarentina, è stata
presentata l’ultima fatica letteraria di Franco Cassano: Senza il
vento della storia. La sinistra nell'era del cambiamento (Laterza,
Bari, 2014). Qualcuno si chiederà: ma chi è sto Cassano? Per chi ancora non lo
sapesse, Franco Cassano - da non confondere con l’omonimo calciatore barensis -
è un noto professore di Sociologia dell’Università di Bari (della cosiddetta école
barisienne; come dicono a Bari: “Se Parigi avesse lu mare, saresse na
piccola Bare”…), nonché deputato del PD. Alla conferenza era schierato
tutto il gotha del Pd locale, a fare da compiacente corona all'autore: dall’on. Pelillo (ex-Margherita), dai più considerato il vero
regista occulto dell’inciucio che ha portato all'elezione di un
sindaco di Forza Italia alla Presidenza della Provincia di
Taranto (con i voti dei consiglieri PD), nonché aspirante alla poltrona di
Sindaco della nostra città; Michele
Mazzarano, consigliere regionale Pd, già assurto agli onori della cronaca,
perché accusato di finanziamento illecito ai partiti
e millantato credito e, infine, dal sen. Giovanni Battafarano, ex-sindaco di
Taranto e, oggi, Segretario Nazionale dell’Associazione Lavoro & Welfare,
creata dall’on. Cesare Damiano, sempre del Pd.
L’occasione era ghiotta, poiché, appunto come
suggerisce il titolo del libro, erano in discussione le sorti della “sinistra”
alla luce delle nuove sfide della contemporaneità. Quali sono queste sfide? Ma
ovviamente quelle della globalizzazione! Ma qui già un primo intoppo: come? E’
ormai quasi un quarto di secolo che non si fa altro che parlare di
“globalizzazione” e soltanto oggi l’on. Cassano riesce a proporci il parto del
suo sforzo intellettuale - di ben 91 pagine!!! - sull'argomento? Gatta ci cova!
Poiché non penso che l’on. Cassano sia così intellettualmente sprovveduto da
volerci propinare le sue riflessioni su un argomento ormai vecchio come il
cucco, devo supporre che, evidentemente, il suo intento sia un altro! Ma,
subito, mi si presenta, sgarbato, un altro inconveniente: un esponente dell’élite intellettuale
del PD che ci viene a parlare di “sinistra”? Ma di quale sinistra si
tratta? Tenta immediatamente di rispondere alla domanda uno degli “autorevoli”
interlocutori del Nostro, il più ferrato in proposito, appunto l’on. Pelillo, il quale afferma che la
quarta di copertina del libro riassume in termini egregi le tesi di fondo ivi
espresse dall'autore, meglio di quanto lui stesso non avrebbe mai saputo fare,
tanto da darne pubblica lettura. Eccone uno stralcio:
A lungo la sinistra ha pensato che nelle sue vele
soffiasse il vento della storia. Oggi che tutto è cambiato, che quel vento non
le ha riconosciuto alcuna primazia, che anche il suo popolo non è più lo
stesso, la sinistra sembra essersi ritratta in una posizione difensiva e
risponde con sdegno all'accusa di conservatorismo. In verità le sue ragioni
sono tutt'altro che scomparse, ma per farle rientrare nella partita del mondo è
necessario che smetta di sentirsi ospite innocente in un universo cattivo e
abbandoni ogni nostalgia. Perché la globalizzazione non è solo una banale
restaurazione, non è solo espropriazione e sradicamento, ma un gioco di
dimensioni planetarie nel quale nuovi protagonisti si affacciano sulla scena
della storia. E a questo gioco largo e imprevedibile, pieno di pericoli e di
opportunità, non ci si può sottrarre.
Dunque, la sinistra italiana (e non solo) si trova a
fare i conti con una realtà ormai completamente mutata, dove i protagonisti non
sono più gli USA e l’Europa, bensì i paesi asiatici (Cina e India in testa), e
pochi altri. L’Europa, anzi, vive un periodo di progressiva marginalizzazione,
senza parlare dell’Italia, dove i nostri poveri imprenditori sono costretti a
de-localizzare in Paesi il cui il costo del lavoro è molto più basso. [Domanda:
come mai in Germania ciò non avviene, benché il costo del lavoro sia molto più
alto di quello italiano? Boh!, Beh, allora, sorvoliamo...] Secondo quesito che si pone agli
astanti in trepida attesa che si disveli loro l’arcano: quali sono le
alternative che abbiamo di fronte? Due sono i possibili atteggiamenti che si
possono assumere a tale riguardo, dice il Nostro: o il ritrarsi sdegnati nella
comoda sicurezza dei valori tradizionali della sinistra, quelli che hanno fatto
del “glorioso trentennio” seguito alla II Guerra Mondiale una stagione di
conquiste irripetibili per i lavoratori, o quello, invece, di assecondare
questo tsunami epocale che, però, a quanto pare, ha il piccolo
difetto di mettere in discussione tali diritti [ma questo l’ho aggiunto io!].
Non manca ovviamente l’erudito riferimento all'ultima
novità di grido proveniente dalla Francia [Parbleu, siamo pur sempre
intellettuali à la page!]: non ha forse detto
Thomas Piketty, nel suo ormai famoso libro Il Capitale, che
nel capitalismo “le diseguaglianze sociali vanno allargandosi”? [Ma, vado a memoria,
qualcosa del genere non l’aveva più o meno già scritta Marx, qualche tempo fa,
in un libro di cui però non ricordo più il titolo? Ah, è vero,]
anche il nostro Cassano ammette di aver letto a suo tempo Il Capitale di
Marx [ecco il titolo! Che originale questo Marx: sempre pronto a copiare l'ultimo
intellettuale francese alla moda, senza pagargli nemmeno i diritti d’autore!]
Ovviamente l’on. Cassano è per prendere di petto il secondo corno del dilemma:
la sinistra non può ritrarsi inorridita di fronte al nuovo, ma
deve imparare a navigare tra i marosi, ed accettare la sfida dei tempi! Come
fare? Cassano ricorda a tutti che quello che i suoi interlocutori hanno
(giustamente) definito il “trentennio glorioso” seguito al secondo dopoguerra,
che ha portato non solo a consistenti aumenti salariali, ma soprattutto a
giganteschi passi in avanti nella conquista di nuovi diritti da parte dei
lavoratori (uno per tutti: lo Statuto dei Lavoratori del ’69) è stato possibile
perché l’Italia di quegli anni era in pieno boom economico!
Solo dove c’è aumento di ricchezza ci può essere redistribuzione del reddito,
con conseguente riduzione delle disparità sociali! [Caspita, non ci avevo
mai pensato! Che genio questo Cassano, quasi quanto
il suo omonimo lo è con i piedi!] Ma oggi? Oggi, come ognun vede, la derelitta Italia
è ormai da lunghi anni in recessione, e la produzione di reddito, piuttosto che
allargarsi, si restringe sempre più drammaticamente! Per cui? Per cui… non si
possono fare matrimoni coi fichi secchi o vogliamo forse che il declino dell’Italia si
compia inesorabilmente? Non possumus! Non
possiamo! La sinistra italiana deve impedire questo destino apparentemente
ineluttabile, e perciò deve saper guardare oltre,
deve andare avanti, adesso! Per far ciò, la strategia che il PD
deve adottare è quella di allargare il proprio
consenso, senza però spostarsi! Altra domanda
incresciosa: come si fa ad andare avanti senza spostarsi?
Ma è ovvio! Bisogna andare avanti, senza che però il partito si sposti a
“destra” [a destra in senso politico, non fisico! Che stupido che sono!].
Vuoi vedere che adesso tutti gli imprenditori che
hanno abbandonato Berlusconi, e che ormai votano in massa per Renzi, sono
pronti a cedere parte delle loro ricchezze, per darle, in tempi di magra come
questi, ai loro operai? Vuoi vedere che sono diventati improvvisamente tutti di
sinistra? Tutti compagni? Volgo lo sguardo indietro, nella speranza di vedere
emergere, tra la folla degli astanti, qualche compagno (ex-sciur)
Brambilla, ma… niente! Mi accorgo con sgomento che sono capitato in un attivo
di sezione del PD, e l’illusione momentanea di scioglie come neve al sole di
fronte alla cruda realtà, fatta di pensionati sonnacchiosi (qualcuno, più
audace, istigato da comprensibili necessità fisiologiche, si avventura
rumorosamente verso la porta della toilette, posta proprio a destra
del palco…); di adoranti impiegate a cui brillano gli occhi per la fortuna di
trovarsi ad ascoltare il profluvio di cotanto ingegno; di vecchi militanti del
PCI, che sono sopravvissuti vittoriosamente a tutte le svolte ideologiche
di questi ultimi 20 anni, e di qualche ex-socialista craxiano, che guarda di
sottecchi il suo nuovo amico/compagno del PD, seduto al suo fianco, e a cui
sembra sussurrargli: “Hai visto che aveva ragione Bettino?!”…
Dunque, qual è la soluzione che ci viene prospettata
dal prof. Cassano? Pur con le dovute cautele, al Nostro sembra che l’unica
alternativa oggi realisticamente appetibile per la sinistra
italiana sia costituita nientepopodimeno che da Renzi! Renzi? Si, avete capito bene: proprio Renzi! Adesso,
in Italia, nella sinistra italiana, l’unico che guarda con fiducia in avanti, al futuro è proprio
Renzi! Lui è in grado di allargare la base del Pd, senza pericolosi
scivolamenti a destra; lui è l’unico in grado di affrontare le sfide della
globalizzazione senza stare tanto a menare il can per l’aia con la solita, sinistra,
tiritera dei diritti dei lavoratori! Del Jobs act, ad esempio,
Cassano non ne parla affatto, nonostante sia stata la sua ultima fatica
parlamentare prima delle vacanze natalizie! Ma è chiaro che non ha bisogno di
farlo, perché di fronte alle sfide della globalizzazione che cosa pretendete?
Che si mantenga integro lo Statuto dei Lavoratori? Che si passi dalla stagione
dei diritti a quella dei doveri per i ricchi? Ma non lo sapete che
gli imprenditori sono lavoratori come noi, che non possiamo
lasciarli soli di fronte alle faticose sfide della globalizzazione e, quindi,
devono essere rappresentati dal PD, che perciò ha tutte le carte in regola per diventare il vero e unico Partito della Nazione?!
Perbacco - mi dico in conclusione della conferenza - come è caduta in basso la Sociologia! Al minimo stormir di fronda essa è pronta
a fornire la legittimazione ideologica dello stato di cose presente, affinché
tutto cambi, perché tutto resti uguale! Si nutre di banalità, spacciandole
per il risultato di faticose riflessioni teoriche, ed annuncia pomposamente al
mondo di aver (ri)scoperto l’acqua calda!
Non vorrei scomodare, facendolo peraltro rivoltare
nella tomba, il povero Gramsci: ma se c’è un intellettuale organico, ovviamente
organico alla borghesia, che un partito (di destra) poteva partorire,
questo è proprio il sociologo, onorevole del Pd, Franco Cassano! Anzi, oggi oso
elevarlo, sia pure solo per un istante, al rango di filosofo: con questa sua opera
probabilmente il prof. Franco Cassano ha dato effettivamente prova di essere il più
conseguente filosofo dell’attualismo renziano, memore della lezione
del ben più famoso Giovanni Gentile, in arte: filosofo del regime
fascista…
giovedì 1 gennaio 2015
Taranto: dalla monocultura dell’inquinamento alla monocultura spartana?
In questi ultimi tempi il dibattito culturale nella città di Taranto si è inaspettatamente animato a causa di una diatriba piuttosto sorprendente: quella riguardante la querelle “Sparta si, Sparta no”.
Premessa indispensabile per chi non conosce Taranto: che nella
nostra città ci sia qualcosa che possa essere definito “un dibattito culturale”
è già di per sé un evento alquanto sensazionale; e lo è anche per uno non esattamente di primo pelo come lo scrivente: per questo
motivo mi sono affrettato ad offrire il mio modesto contributo in proposito! In
secondo luogo occorre aggiungere, a scanso di equivoci, che Taranto fu
effettivamente fondata da coloni spartani nel 706 a.C.; cosa di cui però quasi
nessuno, in città, ha serbato il ricordo, anche perché non è sopravvissuta
alcuna testimonianza diretta dell’evento, fatto salvo qualche reperto conservato nel Museo Archeologico (MarTA): le epoche successive, infatti, hanno profuso
un grande e sistematico impegno per cancellare (o sotterrare) accuratamente
qualsiasi referto che possa in qualche modo fungere da prova tangibile di quel lontano accadimento. Cosicché il tarantino medio di oggi può credere
che Taranto sia una città spartana allo stesso titolo per cui un uomo di media
cultura crede nel mito di Ulisse, le cui vicende furono descritte nei celebri
versi di Omero, o un uomo pervaso da
profonda fede cristiana “crede” nel dettato biblico in cui si narra della
separazione delle acque del Mar Rosso, operata da Mosè, sotto il diretto
controllo divino.
Ciò non di meno, è un dato assodato che Taranto nasca come
colonia degli spartani, una volta che questi ultimi fecero fuori
progressivamente gli indigeni!
Da questa premessa storicamente certa nasce
l’iniziativa di un gruppo di artisti tarantini (riuniti nell'associazione AUT: Artisti Uniti per Taranto) di
creare un brand - da cedere
gratuitamente a chiunque ne fosse interessato - che possa identificare a livello
mondiale e in modo inequivocabile la
nostra città: quello appunto di “Taranto città spartana”, che, almeno questo è
l’esplicito, e per nulla disdegnabile, auspicio, possa finalmente cancellare
dall'immaginario collettivo l’associazione semantica tra “Taranto” e “Ilva”, con tutto
l’inevitabile, quanto nefasto corollario di disastri ambientali, sanitari,
sociali e politici…
Il brand è
corredato da un colossale progetto di risistemazione urbana della città, con
l’innesto di numerosi monumenti, realizzati ad
hoc, che avranno appunto il compito di rendere visibile alla città (e al mondo interno) la sua antica origine, allo
scopo di incrementare finalmente i flussi turistici nella direzione della
troppo a lungo negletta città di Taranto. Un progetto che, peraltro, è stato
presentato con successo in molte scuole cittadine, suscitando un entusiastico accoglimento
da parte degli studenti. E a quanto pare su tale progetto ha astutamente calato un asso anche l’attuale Governo Renzi, il quale, "fiutando l'affare" politico, sembra averlo in qualche modo
inserito nell'ultimo decreto Ilva di fine anno o, comunque, sia in procinto di
farlo in uno dei prossimi in calendario.
Ma, apriti cielo, l’iniziativa non è andata giù a tutti! Tra
i critici più severi si è in particolar modo distinto colui che oggi è forse il più autorevole storico della città ancora vivente, il prof. Roberto Nistri,
il quale ha bollato l’iniziativa come una ridicola trovata fumettistica
(ispirata al film cult “300”),
invitando perentoriamente i giovani tarantini, irretiti da questo progetto, a “guardare
al futuro”! Ora, che uno storico, le cui ricerche si incentrano quasi sempre
sulla storia della nostra città (in
particolare quella che va dall'800 al ‘900) prenda, per così dire, carta, penna e calamaio per
invitarci così autorevolmente a distogliere
il nostro sguardo dal passato, e volgerlo verso il futuro, appare alquanto originale, per non dire francamente
incredibile! Sembrerebbe quasi un incitamento, un tantino masochistico, alla delegittimazione della conoscenza storica, peraltro perpetrato in un momento in cui qualcun altro è finalmente riuscito a suscitare l'interesse delle giovani generazioni tarantine verso la propria Storia! Ma, d’altra parte, è anche vero che sentirsi dire che il mito di
Sparta è alimentato da Alba Dorata in Grecia, non è certo facile da digerire; e
quand'anche questa allusione risultasse un po’ forzata o maliziosa, beh, in
ogni caso basterebbe fare mente locale alla storia dell’antica città di Sparta per
capire ciò di cui stiamo parlando: una città che non si è certo distinta, ai
suoi tempi, per spirito “democratico” (anche solo nel coevo significato
ateniese del termine) o per maniacale rispetto della diversità, anzi! Certo è difficile pensare che un mito del genere
possa, come dire, alimentare i sogni ad occhi aperti di uno che si considera
ideologicamente orientato a “sinistra”…
Roberto Nistri |
E tuttavia è incontrovertibile che la Taranto spartana non sia nata dalla fervida immaginazione di uno sceneggiatore hollywoodiano o, peggio,
dalla fantasia malata di interessati agitatori nazisti! D'altra parte è
anche vero che pensare di creare un brand, con un suo (prevedibile) appeal
internazionale, per “spenderlo” in campo turistico, forse dovrebbe indurre a riflettere con maggior ponderatezza gli stessi promotori dell’iniziativa: al di
là della sua fattibilità concreta, sulla quale mi permetto di avanzare qualche
dubbio, tenuto conto dello scadente tessuto imprenditoriale locale, una
proposta del genere non farebbe correre alla nostra città dei pericoli per
certi versi analoghi a quelli dai quali si tenta encomiabilmente di sfuggire?
Non si corre forse il rischio di assoggettare la nostra città, sia pure sotto
mentite spoglie, a quella stessa logica di mercato che l’ha governata sinora, e
di cui Taranto ha sempre
pagato le conseguenze? In altri termini: ammesso che
un simile progetto si realizzi, trasformare la città in una “Disneyland degli
Spartani” è un’alternativa effettivamente auspicabile, oltre che credibile? Essa sarà probabilmente più sostenibile dal punto di vista ambientale rispetto alle attività economiche oggi in essere, ma potrebbe avere delle conseguenze sociali ed economiche non meno devastanti di quelle già subite in passato! Sto
esagerando? Pensate al degrado sociale che ormai da decenni colpisce la
popolazione locale (ormai quasi completamente espulsa dal centro storico) di
una città iper-turistica come Venezia, e avrete un'idea abbastanza chiara di quello che intendo!
Che Taranto debba trovare un’alternativa alla monocultura
dell’inquinamento (perché di ciò si tratta!), non c’è dubbio: è ormai diventata
una questione di vita o di morte!
Che Taranto abbia l’urgente e ormai inderogabile necessità
di ricostruire il proprio tessuto storico e culturale è altrettanto
indubitabile: ne va dell’identità stessa di una città che voglia sfuggire a un destino di anomìa culturale che sembra quasi ineluttabile!
Ma le scorciatoie non risolvono i problemi: tutt'al più, e
nella migliore delle ipotesi, possono soltanto prolungarne l’agonia!
Credo che il lavoro per ricostruire una propria identità
storica e culturale sia molto più lungo e difficile: per affrontare seriamente
un lavoro di questo genere forse dovremmo tutti (storici e non) renderci
consapevoli che appunto Taranto è stata,
ed è ancora, una colonia! Taranto ha perso la propria identità, la propria
storia, la propria libertà, con la conquista romana: da allora in poi (vale a
dire: sino ai giorni nostri) Taranto è, per così dire, uscita fuori dalla
Storia, non ha fatto più storia, poiché la sua “storia”, in realtà, è stata
decisa altrove, e fatta da altri, quelli che, dall’esterno, hanno scritto un’altra storia per Taranto, spacciandola
per la “nostra” storia! Esempi concreti, per non rimontare alla notte dei
tempi, sono chiaramente costituiti dall'insediamento dell’Arsenale e della base
navale della Marina Militare nella seconda metà dell’Ottocento e, più
recentemente, nella seconda metà del XX secolo, dall’Italsider (ora Ilva). Ed è appunto di questa espropriazione ciò di cui noi tutti, oggi, in ultima analisi, ci
lamentiamo! Se vogliamo, la stessa
grottesca iniziativa di candidare Taranto a “Capitale europea delle cultura”
per il 2019, naufragata ignominiosamente quanto inevitabilmente, è stata un ulteriore, chiaro
sintomo della nostra sudditanza culturale, visto che è stata proposta, per
evidenti interessi elettoralistici, dal Sindaco di Bari, piuttosto che dal nostro!
Sicuramente la storia di Taranto va rivalutata e
salvaguardata: ma ciò vale per tutta la sua storia, non soltanto per una parte, sia
pure importante, di essa! D’altra parte, come è facile intuire, avere alle
spalle una storia plurimillenaria, come Taranto di fatto ha, significa che essa
è assai stratificata al suo interno e,
pertanto, ogni semplificazione sarebbe oltremodo irresponsabile, oltre che anti-storica, soprattutto se
fosse propugnata in nome di una malintesa fedeltà alle origini! Quanto appena affermato, per quanto necessario non è tuttavia ancora sufficiente, perché è altrettanto vero che una città (qualsiasi) non può vivere soltanto della sua storia, per quanto
illustre essa sia: una città non può essere soltanto un museo o (peggio) un
parco divertimenti a cielo aperto! Una città che ambisca a ritagliarsi un proprio
ruolo anche all'interno del circuito turistico internazionale, deve essere una
città viva, consapevole – certo - della propria storia, ma anche e direi, soprattutto capace di avere una propria voce, da farla vivere e interagire nella realtà odierna!
Una città realmente consapevole di se stessa non costruisce una identità per scopi turistico-commerciali, quasi fosse un'attempata signora bisognosa di periodici ricorsi alla chirurgia estetica, ma lo fa in funzione e a misura dell’ambizione, della consapevolezza e della fattiva volontà dei propri
cittadini, aperti a un continuo e proficuo scambio culturale con il mondo esterno! Solo questo processo può consentire ad una (qualsiasi) città di
diventare appetibile anche agli occhi del turista, non il contrario!
Un esempio estremo, e certo inavvicinabile per Taranto,
chiarirà immediatamente quello che intendo dire: una città come, ad es., New
York ha forse avuto bisogno di creare un proprio brand per diventare quello che è? Ovviamente no! E non solo e non certo
perché ha ben poca storia alle spalle (comunque nulla di paragonabile alla
storia di Taranto), quanto piuttosto perché è stata capace di crearsi un proprio tessuto imprenditoriale e, di conseguenza, una vita e una identità
culturale che ha pochi eguali al mondo! Ed è solo per questo motivo che New York
è diventata la Grande Mela, cioè una delle mete turistiche più ambite! Non è stata La Grande Mela a creare il mito di New York!
Certo, ripeto, nessuno pretende che Taranto, per diventare
una realtà degna di questo nome, debba scimmiottare New York (magari col simbolo de La Grande Cozza?) o qualsiasi altra
capitale internazionale! Il significato di questo paragone sta semplicemente in
questo: per diventare una realtà significativa, unica nel suo genere, Taranto non ha bisogno di
iniziative estemporanee, quanto, piuttosto, di un lavoro lungo, paziente,
difficile e diffuso, che crei nel tempo un tessuto socio-economico e culturale
che metta capo, nel giro presumibilmente di qualche decennio, a una propria, ben individuabile identità, anche a livello internazionale. Per raggiungere l’obiettivo non basterà mettere una nuova statua al
centro della piazza principale di Taranto, ma occorrono piuttosto scuole, università, centri
di ricerca, giornali, riviste, teatri, imprenditori “illuminati”, editori,
circoli intellettuali, una rete di movimenti spontanei e - perché no? - occorre anche una classe politica degna di questo nome e all'altezza del compito: tutti elementi indispensabili che, con
buona pace dei pur volenterosi spartani locali, sono ancora tutti (o quasi) da costruire…
Tuttavia non è da credere che si debba partire da zero; infatti la strada è già stata aperta. In questi ultimi anni la nostra città ha vissuto un notevole salto culturale: è passata dalla monocultura industriale, impostale dall'esterno, e di cui quasi tutti andavamo più o meno acriticamente fieri, alla nascita di una nuova consapevolezza, quella di vivere piuttosto in una monocultura dell'inquinamento. Questa nuova consapevolezza, frutto di numerose e importanti mobilitazioni della cittadinanza, si sta prepotentemente facendo strada nella coscienza comune dei tarantini. Questo è indubbiamente un trampolino di lancio (non certo l'unico!) dal quale partire, per rilanciare non solo una nuova immagine, ma soprattutto per sviluppare una nuovo progetto per la città, attraverso il quale essa possa finalmente aprirsi non semplicemente al "futuro", bensì a un futuro diverso, frutto di una scelta autonoma, per dar vita a una nuova epoca nella Storia di Taranto!
Tuttavia non è da credere che si debba partire da zero; infatti la strada è già stata aperta. In questi ultimi anni la nostra città ha vissuto un notevole salto culturale: è passata dalla monocultura industriale, impostale dall'esterno, e di cui quasi tutti andavamo più o meno acriticamente fieri, alla nascita di una nuova consapevolezza, quella di vivere piuttosto in una monocultura dell'inquinamento. Questa nuova consapevolezza, frutto di numerose e importanti mobilitazioni della cittadinanza, si sta prepotentemente facendo strada nella coscienza comune dei tarantini. Questo è indubbiamente un trampolino di lancio (non certo l'unico!) dal quale partire, per rilanciare non solo una nuova immagine, ma soprattutto per sviluppare una nuovo progetto per la città, attraverso il quale essa possa finalmente aprirsi non semplicemente al "futuro", bensì a un futuro diverso, frutto di una scelta autonoma, per dar vita a una nuova epoca nella Storia di Taranto!
venerdì 5 settembre 2014
La buona scuola di Renzy's
Una prima riflessione
sul titolo: “La buona scuola – Facciamo crescere il Paese”.
Per iniziare, non possiamo
far a meno di notare quanto sia singolare il fatto che la proposta di
“riforma” della scuola partorita dall’attuale Governo, porti un titolo non
burocratico, bensì uno squisitamente ideologico.
A prima vista si tratta di un titolo che potrebbe essere superficialmente
interpretato come “buonista”, com’è nella migliore tradizione piddina. Tuttavia,
crediamo, a nessuno potrà sfuggire il retrogusto logico di questo apparente buonismo: se la scuola “buona”
fa crescere il Paese, chi è contro questa “riforma” è, invece, fautore di una
scuola cattiva e, quindi, in realtà vuole porsi come ostacolo alla crescita del
Paese (non a caso siamo in recessione, e qualcuno potrebbe sentirsi autorizzato
a pensare che sia tutta colpa della scuola)! Ma la cosa più stupefacente, che
nelle intenzioni dovrebbe spiegare il motivo del titolo, viene dalle prime
parole dell’Introduzione. Perché all’Italia serve la scuola “buona”? Perché -
questa è la risposta - essa deve essere capace di “sviluppare nei ragazzi la curiosità per il mondo e il
pensiero critico. Che stimoli la loro creatività e li incoraggi a fare cose con
le proprie mani nell’era digitale”! Quindi,
l’assunto di partenza, per il quale si rende necessaria la riforma, è che la
scuola cattiva sinora non è stata in
grado di stimolare la curiosità dei ragazzi e lo sviluppo del pensiero critico!
Evidentemente Renzi, e lo staff del MIUR che ha redatto questo documento, ha in
mente la scuola dell’epoca di De Amicis, o quella del libro e moschetto, e quindi la soluzione del problema va
ricercata nella capacità di iniettare nel corpo docente, cioè in corpore vili, quella giusta dose di
spirito di iniziativa, di avventura e di sacrificio che sono propri del mondo
scoutistico! E vogliamo parlare del “fare cose con le proprie mani nell’era
digitale”? A parte la sensazione piuttosto consistente, e comunque sgradevole,
di una palese contraddizione logica che questa infelice espressione evidenzia,
ma, la domanda reale è: sinora chi ha impedito alla scuola italiana di entrare
nell’era digitale? I “cattivi maestri” o i Governi che negli ultimi anni hanno
badato soltanto a tagliare a mani basse le risorse ad essa destinate? Infine,
la domanda delle domande! Perché il Paese ha bisogno di questa riforma?
Perché essa si propone di “dare al Paese una Buona Scuola
dotandola di un meccanismo permanente di innovazione, sviluppo, e qualità
della democrazia”! Vediamo più da vicino questo “meccanismo”!
Cap.
2 Le nuove
opportunità per
tutti i docenti: formazione e carriera
nella buona scuola
Al
centro del progetto renziano troviamo la necessità di dare impulso alla
“qualità” del docente, i quali dovranno essere “valutati e responsabilizzati
pubblicamente”, e dai quali “ci si aspetta che non insegnino solo un
sapere codificato (più facile da trasmettere e valutare), ma modi di
pensare (creatività, pensiero critico,
problem-solving, ecc.)”. A tal fine verrà creato “un gruppo di lavoro
dedicato e composto da esperti del settore [che] lavorerà per un periodo di
tre mesi per formulare il quadro italiano di competenze dei docenti nei
diversi stadi della loro carriera”!
Come si opererà concretamente per realizzare
questo tipo di competenze, delle quali sino ad ora la scuola italiana era
evidentemente a digiuno?
“I docenti devono essere i primi a potersi giovare
di una formazione costante”, che non sia di ostacolo alla continuità didattica
come sinora avvenuto”! Pur non riuscendo a comprendere come, sino ad ora, la formazione
sia stata di ostacolo alla didattica, facciamo finta di nulla e chiediamoci: di
che cosa si “gioveranno” i docenti? “Al docente va
offerta l’opportunità di continuare a
riflettere in maniera sistematica sulle pratiche didattiche; di intraprendere
ricerche; di valutare l’efficacia delle pratiche educative e se necessario
modificarle; di valutare le proprie esigenze in materia di formazione; di
lavorare in stretta collaborazione con i colleghi, i genitori, il territorio”.
Ammesso
e non concesso che, sino ad ora, i docenti non abbiano mai fatto riflessioni di
questo tipo, tutti concentrati com’erano sugli scatti automatici di carriera,
la domanda che a questo punto si impone è la seguente: ma è proprio vero che i
docenti si “gioveranno” di questa nuova “opportunità” che viene loro così
generosamente “offerta”? La risposta, inopinata, giunge immediatamente: “Per
fare questo, bisogna rendere realmente obbligatoria la formazione, e
disegnare un sistema di Crediti Formativi (CF) da raggiungere ogni anno per
l’aggiornamento e da legare alle possibilità di carriera e alla possibilità di
conferimento di incarichi aggiuntivi”. Ora, anche coloro che si occupano con tenacia
e costanza di problem solving devono
riuscire a spiegare come si riesca ad “offrire una opportunità”, da un lato, e
renderla, dall’altro, obbligatoria
per la progressione di carriera! Chiaramente ciascuno di noi è anche libero di rifiutare un'offerta così generosa, ma lo scotto da pagare sarà quello di rinunciare a
un’altra opportunità: quella della progressione economica per anzianità di
servizio! D’altro canto perché accanirsi nel ricercare una progressione
economica, se gli stipendi sono quelli pubblicati a p. 49 del documento
buonista? Quella che segue è infatti la tabella dei nostri emolumenti, secondo la visione renziana, davvero idilliaca, del mondo della scuola:
Ci
chiediamo da dove Renzi, la Giannini o chi per loro abbiano ricavato una simile
tabella?! Dal paese di Bengodi? Dall’ARAN tedesco o da quello inglese? Per
quello che ne sappiamo i nostri compensi, fermi all’ultimo contratto stipulato
nel 2009, sono invece i seguenti (N.B.: ad essi dovrà essere aggiunta la 13^
mensilità):
Due
soli esempi per capire l’abisso esistente tra queste due tabelle. Prendiamo la
posizione del docente laureato di scuola sec. di II°, con
anzianità
da 0 a 2 anni: tabella buonista: prenderebbe
34.400 euro;
tabella Aran: prende, in realtà, 20.973 euro! con
anzianità
da 35 a…….: tabella buonista: prenderebbe
53.985 euro;
tabella Aran: prende, in realtà, 32.912 euro!
Anche
volendo aggiungere alle cifre del contratto reale (ARAN) la 13^ mensilità, si
comprende bene l’abisso esistente tra realtà e fantasia buonista renziana! Ed è così per ogni scaglione o
tipologia di lavoratore della scuola!
A
quale scopo divulgare una simile, plateale menzogna?
Ma
facciamo un passo avanti e chiediamoci per quale motivo dovremmo aderire alle
nuove opportunità di carriera offerteci? Come dice il documento, intanto
dovremo cogliere quest’attimo fuggente al fine di uscire dal “grigiore dei
trattamenti indifferenziati”, che ci hanno obbligato sinora ad “accontentarci delle prospettive di carriere
fondate sul mero dato dell’anzianità”.
Queste
parole potranno indurre qualcuno a credere che d’ora in avanti l’anzianità di
servizio perderà la centralità che ha
avuto sinora nella progressione stipendiale, per acquisire uno status subordinato rispetto al nuovo meccanismo di progressione che
si intende introdurre, per affiancarlo. SBAGLIATO! La progressione per anzianità verrà semplicemente
ABOLITA! NON ESISTERÀ PIÙ!
Essa sarà sostituita erga omnes da un nuovo
meccanismo, che definire perverso è
dir poco! Esso, infatti, si fonderà su dei crediti, che vengono così delineati:
Come
si può facilmente intuire, da queste nuove disposizioni non solo sparisce
l’anzianità di servizio, ma, di conseguenza, anche il lavoro che si svolge all’interno delle classi: un docente appena
assunto e uno con 30 anni di servizio alle spalle sono, come ogni buonista sa,
perfettamente identici, perché in realtà sono trascorsi, come insegna la
relatività einsteniana col “paradosso dei gemelli”, 30 anni di vuoto assoluto!
In
compenso, che cosa verrà premiato? In primo luogo la “qualità didattica”, che
però il documento si guarda bene dal definire, nonché di spiegare come essa
potrà mai essere “certificata” e, ovviamente, anche dall’opportunità di cogliere l’obbligatorietà
della formazione “in servizio”; infine, entrano nella lista anche i crediti
“PROFESSIONALI”: una definizione accattivante, astutamente utilizzata per
definire tutte quelle attività che non hanno proprio nulla a che fare con la
didattica reale e che, quindi, non hanno, in realtà, alcun carattere professionalizzante!
Veniamo all’ultima questione. A
che cosa servirà accumulare questi crediti? Come abbiamo già detto essi
costituiranno l’unica condizione indispensabile per accedere alla progressione
economica! Come infatti viene specificato: “Periodicamente,
ogni 3 anni, due terzi (66%) di tutti i docenti di ogni scuola (o rete di
scuole) avranno diritto ad uno scatto di retribuzione. Si tratterà del
66% di quei docenti della singola scuola (o della singola rete di scuole) che
avranno maturato più crediti nel triennio precedente”!
Quindi,
se è vero che, secondo le nuove disposizione, si potrà accedere agli aumenti
soltanto grazie all’accumulo di “crediti”, ciò però non sarà comunque vero per
tutti, ma solo per il 66% del
corpo docente! Ma con quale meccanismo? Con quello che il documento definisce
ipocritamente un “incentivo sano” (p. 58). Il 66% degli aventi diritto sarà
infatti costituito – rileggiamo – da coloro “che
avranno maturato più crediti nel triennio precedente”! In altre parole,
“l’incentivo sano” sarà una guerra di tutti contro tutti fra chi accumula più
crediti degli altri!! Ma perché tale
incentivo riguarderà “solo” il 66% del totale? Lo spiega lo stesso documento
con un candore che fa quasi dimenticare la spudoratezza dell’ammissione: “Le risorse utilizzate per gli scatti di competenza saranno
complessivamente le stesse disponibili per gli scatti di anzianità, distribuite
però in modo differente secondo un sistema che premia l’impegno e le
competenze dei docenti. Ciò consente all’operazione di non determinare
oneri aggiuntivi a carico dello Stato”!!!
Infatti,
dal 2015 saranno totalmente aboliti gli scatti di anzianità automatici, e la
nuova normativa premiale entrerà in vigore solo nel 2018!
Quindi,
in mancanza di aumenti contrattuali (appena ribadita dal Min. Madia per la P.A.),
senza scatti di anzianità, il 66% di volenterosi che si assoggetteranno docilmente o
meno al nuovo meccanismo premiale, dovranno comunque attendere il 2018 per
vedere i primi 60 eurini in saccoccia, maturati non solo grazie ai punti
accumulati, facendo le scarpe agli altri, ma soprattutto grazie ai risparmi di spesa che lo Stato avrà nel
frattempo accumulato ai danni di tutto
il comparto scuola!
Iscriviti a:
Post (Atom)