In questi ultimi tempi il dibattito culturale nella città di Taranto si è inaspettatamente animato a causa di una diatriba piuttosto sorprendente: quella riguardante la querelle “Sparta si, Sparta no”.
Premessa indispensabile per chi non conosce Taranto: che nella
nostra città ci sia qualcosa che possa essere definito “un dibattito culturale”
è già di per sé un evento alquanto sensazionale; e lo è anche per uno non esattamente di primo pelo come lo scrivente: per questo
motivo mi sono affrettato ad offrire il mio modesto contributo in proposito! In
secondo luogo occorre aggiungere, a scanso di equivoci, che Taranto fu
effettivamente fondata da coloni spartani nel 706 a.C.; cosa di cui però quasi
nessuno, in città, ha serbato il ricordo, anche perché non è sopravvissuta
alcuna testimonianza diretta dell’evento, fatto salvo qualche reperto conservato nel Museo Archeologico (MarTA): le epoche successive, infatti, hanno profuso
un grande e sistematico impegno per cancellare (o sotterrare) accuratamente
qualsiasi referto che possa in qualche modo fungere da prova tangibile di quel lontano accadimento. Cosicché il tarantino medio di oggi può credere
che Taranto sia una città spartana allo stesso titolo per cui un uomo di media
cultura crede nel mito di Ulisse, le cui vicende furono descritte nei celebri
versi di Omero, o un uomo pervaso da
profonda fede cristiana “crede” nel dettato biblico in cui si narra della
separazione delle acque del Mar Rosso, operata da Mosè, sotto il diretto
controllo divino.
Ciò non di meno, è un dato assodato che Taranto nasca come
colonia degli spartani, una volta che questi ultimi fecero fuori
progressivamente gli indigeni!
Da questa premessa storicamente certa nasce
l’iniziativa di un gruppo di artisti tarantini (riuniti nell'associazione AUT: Artisti Uniti per Taranto) di
creare un brand - da cedere
gratuitamente a chiunque ne fosse interessato - che possa identificare a livello
mondiale e in modo inequivocabile la
nostra città: quello appunto di “Taranto città spartana”, che, almeno questo è
l’esplicito, e per nulla disdegnabile, auspicio, possa finalmente cancellare
dall'immaginario collettivo l’associazione semantica tra “Taranto” e “Ilva”, con tutto
l’inevitabile, quanto nefasto corollario di disastri ambientali, sanitari,
sociali e politici…
Il brand è
corredato da un colossale progetto di risistemazione urbana della città, con
l’innesto di numerosi monumenti, realizzati ad
hoc, che avranno appunto il compito di rendere visibile alla città (e al mondo interno) la sua antica origine, allo
scopo di incrementare finalmente i flussi turistici nella direzione della
troppo a lungo negletta città di Taranto. Un progetto che, peraltro, è stato
presentato con successo in molte scuole cittadine, suscitando un entusiastico accoglimento
da parte degli studenti. E a quanto pare su tale progetto ha astutamente calato un asso anche l’attuale Governo Renzi, il quale, "fiutando l'affare" politico, sembra averlo in qualche modo
inserito nell'ultimo decreto Ilva di fine anno o, comunque, sia in procinto di
farlo in uno dei prossimi in calendario.
Ma, apriti cielo, l’iniziativa non è andata giù a tutti! Tra
i critici più severi si è in particolar modo distinto colui che oggi è forse il più autorevole storico della città ancora vivente, il prof. Roberto Nistri,
il quale ha bollato l’iniziativa come una ridicola trovata fumettistica
(ispirata al film cult “300”),
invitando perentoriamente i giovani tarantini, irretiti da questo progetto, a “guardare
al futuro”! Ora, che uno storico, le cui ricerche si incentrano quasi sempre
sulla storia della nostra città (in
particolare quella che va dall'800 al ‘900) prenda, per così dire, carta, penna e calamaio per
invitarci così autorevolmente a distogliere
il nostro sguardo dal passato, e volgerlo verso il futuro, appare alquanto originale, per non dire francamente
incredibile! Sembrerebbe quasi un incitamento, un tantino masochistico, alla delegittimazione della conoscenza storica, peraltro perpetrato in un momento in cui qualcun altro è finalmente riuscito a suscitare l'interesse delle giovani generazioni tarantine verso la propria Storia! Ma, d’altra parte, è anche vero che sentirsi dire che il mito di
Sparta è alimentato da Alba Dorata in Grecia, non è certo facile da digerire; e
quand'anche questa allusione risultasse un po’ forzata o maliziosa, beh, in
ogni caso basterebbe fare mente locale alla storia dell’antica città di Sparta per
capire ciò di cui stiamo parlando: una città che non si è certo distinta, ai
suoi tempi, per spirito “democratico” (anche solo nel coevo significato
ateniese del termine) o per maniacale rispetto della diversità, anzi! Certo è difficile pensare che un mito del genere
possa, come dire, alimentare i sogni ad occhi aperti di uno che si considera
ideologicamente orientato a “sinistra”…
Roberto Nistri |
E tuttavia è incontrovertibile che la Taranto spartana non sia nata dalla fervida immaginazione di uno sceneggiatore hollywoodiano o, peggio,
dalla fantasia malata di interessati agitatori nazisti! D'altra parte è
anche vero che pensare di creare un brand, con un suo (prevedibile) appeal
internazionale, per “spenderlo” in campo turistico, forse dovrebbe indurre a riflettere con maggior ponderatezza gli stessi promotori dell’iniziativa: al di
là della sua fattibilità concreta, sulla quale mi permetto di avanzare qualche
dubbio, tenuto conto dello scadente tessuto imprenditoriale locale, una
proposta del genere non farebbe correre alla nostra città dei pericoli per
certi versi analoghi a quelli dai quali si tenta encomiabilmente di sfuggire?
Non si corre forse il rischio di assoggettare la nostra città, sia pure sotto
mentite spoglie, a quella stessa logica di mercato che l’ha governata sinora, e
di cui Taranto ha sempre
pagato le conseguenze? In altri termini: ammesso che
un simile progetto si realizzi, trasformare la città in una “Disneyland degli
Spartani” è un’alternativa effettivamente auspicabile, oltre che credibile? Essa sarà probabilmente più sostenibile dal punto di vista ambientale rispetto alle attività economiche oggi in essere, ma potrebbe avere delle conseguenze sociali ed economiche non meno devastanti di quelle già subite in passato! Sto
esagerando? Pensate al degrado sociale che ormai da decenni colpisce la
popolazione locale (ormai quasi completamente espulsa dal centro storico) di
una città iper-turistica come Venezia, e avrete un'idea abbastanza chiara di quello che intendo!
Che Taranto debba trovare un’alternativa alla monocultura
dell’inquinamento (perché di ciò si tratta!), non c’è dubbio: è ormai diventata
una questione di vita o di morte!
Che Taranto abbia l’urgente e ormai inderogabile necessità
di ricostruire il proprio tessuto storico e culturale è altrettanto
indubitabile: ne va dell’identità stessa di una città che voglia sfuggire a un destino di anomìa culturale che sembra quasi ineluttabile!
Ma le scorciatoie non risolvono i problemi: tutt'al più, e
nella migliore delle ipotesi, possono soltanto prolungarne l’agonia!
Credo che il lavoro per ricostruire una propria identità
storica e culturale sia molto più lungo e difficile: per affrontare seriamente
un lavoro di questo genere forse dovremmo tutti (storici e non) renderci
consapevoli che appunto Taranto è stata,
ed è ancora, una colonia! Taranto ha perso la propria identità, la propria
storia, la propria libertà, con la conquista romana: da allora in poi (vale a
dire: sino ai giorni nostri) Taranto è, per così dire, uscita fuori dalla
Storia, non ha fatto più storia, poiché la sua “storia”, in realtà, è stata
decisa altrove, e fatta da altri, quelli che, dall’esterno, hanno scritto un’altra storia per Taranto, spacciandola
per la “nostra” storia! Esempi concreti, per non rimontare alla notte dei
tempi, sono chiaramente costituiti dall'insediamento dell’Arsenale e della base
navale della Marina Militare nella seconda metà dell’Ottocento e, più
recentemente, nella seconda metà del XX secolo, dall’Italsider (ora Ilva). Ed è appunto di questa espropriazione ciò di cui noi tutti, oggi, in ultima analisi, ci
lamentiamo! Se vogliamo, la stessa
grottesca iniziativa di candidare Taranto a “Capitale europea delle cultura”
per il 2019, naufragata ignominiosamente quanto inevitabilmente, è stata un ulteriore, chiaro
sintomo della nostra sudditanza culturale, visto che è stata proposta, per
evidenti interessi elettoralistici, dal Sindaco di Bari, piuttosto che dal nostro!
Sicuramente la storia di Taranto va rivalutata e
salvaguardata: ma ciò vale per tutta la sua storia, non soltanto per una parte, sia
pure importante, di essa! D’altra parte, come è facile intuire, avere alle
spalle una storia plurimillenaria, come Taranto di fatto ha, significa che essa
è assai stratificata al suo interno e,
pertanto, ogni semplificazione sarebbe oltremodo irresponsabile, oltre che anti-storica, soprattutto se
fosse propugnata in nome di una malintesa fedeltà alle origini! Quanto appena affermato, per quanto necessario non è tuttavia ancora sufficiente, perché è altrettanto vero che una città (qualsiasi) non può vivere soltanto della sua storia, per quanto
illustre essa sia: una città non può essere soltanto un museo o (peggio) un
parco divertimenti a cielo aperto! Una città che ambisca a ritagliarsi un proprio
ruolo anche all'interno del circuito turistico internazionale, deve essere una
città viva, consapevole – certo - della propria storia, ma anche e direi, soprattutto capace di avere una propria voce, da farla vivere e interagire nella realtà odierna!
Una città realmente consapevole di se stessa non costruisce una identità per scopi turistico-commerciali, quasi fosse un'attempata signora bisognosa di periodici ricorsi alla chirurgia estetica, ma lo fa in funzione e a misura dell’ambizione, della consapevolezza e della fattiva volontà dei propri
cittadini, aperti a un continuo e proficuo scambio culturale con il mondo esterno! Solo questo processo può consentire ad una (qualsiasi) città di
diventare appetibile anche agli occhi del turista, non il contrario!
Un esempio estremo, e certo inavvicinabile per Taranto,
chiarirà immediatamente quello che intendo dire: una città come, ad es., New
York ha forse avuto bisogno di creare un proprio brand per diventare quello che è? Ovviamente no! E non solo e non certo
perché ha ben poca storia alle spalle (comunque nulla di paragonabile alla
storia di Taranto), quanto piuttosto perché è stata capace di crearsi un proprio tessuto imprenditoriale e, di conseguenza, una vita e una identità
culturale che ha pochi eguali al mondo! Ed è solo per questo motivo che New York
è diventata la Grande Mela, cioè una delle mete turistiche più ambite! Non è stata La Grande Mela a creare il mito di New York!
Certo, ripeto, nessuno pretende che Taranto, per diventare
una realtà degna di questo nome, debba scimmiottare New York (magari col simbolo de La Grande Cozza?) o qualsiasi altra
capitale internazionale! Il significato di questo paragone sta semplicemente in
questo: per diventare una realtà significativa, unica nel suo genere, Taranto non ha bisogno di
iniziative estemporanee, quanto, piuttosto, di un lavoro lungo, paziente,
difficile e diffuso, che crei nel tempo un tessuto socio-economico e culturale
che metta capo, nel giro presumibilmente di qualche decennio, a una propria, ben individuabile identità, anche a livello internazionale. Per raggiungere l’obiettivo non basterà mettere una nuova statua al
centro della piazza principale di Taranto, ma occorrono piuttosto scuole, università, centri
di ricerca, giornali, riviste, teatri, imprenditori “illuminati”, editori,
circoli intellettuali, una rete di movimenti spontanei e - perché no? - occorre anche una classe politica degna di questo nome e all'altezza del compito: tutti elementi indispensabili che, con
buona pace dei pur volenterosi spartani locali, sono ancora tutti (o quasi) da costruire…
Tuttavia non è da credere che si debba partire da zero; infatti la strada è già stata aperta. In questi ultimi anni la nostra città ha vissuto un notevole salto culturale: è passata dalla monocultura industriale, impostale dall'esterno, e di cui quasi tutti andavamo più o meno acriticamente fieri, alla nascita di una nuova consapevolezza, quella di vivere piuttosto in una monocultura dell'inquinamento. Questa nuova consapevolezza, frutto di numerose e importanti mobilitazioni della cittadinanza, si sta prepotentemente facendo strada nella coscienza comune dei tarantini. Questo è indubbiamente un trampolino di lancio (non certo l'unico!) dal quale partire, per rilanciare non solo una nuova immagine, ma soprattutto per sviluppare una nuovo progetto per la città, attraverso il quale essa possa finalmente aprirsi non semplicemente al "futuro", bensì a un futuro diverso, frutto di una scelta autonoma, per dar vita a una nuova epoca nella Storia di Taranto!
Tuttavia non è da credere che si debba partire da zero; infatti la strada è già stata aperta. In questi ultimi anni la nostra città ha vissuto un notevole salto culturale: è passata dalla monocultura industriale, impostale dall'esterno, e di cui quasi tutti andavamo più o meno acriticamente fieri, alla nascita di una nuova consapevolezza, quella di vivere piuttosto in una monocultura dell'inquinamento. Questa nuova consapevolezza, frutto di numerose e importanti mobilitazioni della cittadinanza, si sta prepotentemente facendo strada nella coscienza comune dei tarantini. Questo è indubbiamente un trampolino di lancio (non certo l'unico!) dal quale partire, per rilanciare non solo una nuova immagine, ma soprattutto per sviluppare una nuovo progetto per la città, attraverso il quale essa possa finalmente aprirsi non semplicemente al "futuro", bensì a un futuro diverso, frutto di una scelta autonoma, per dar vita a una nuova epoca nella Storia di Taranto!
Buon articolo. Grazie per la misura e l'onestà intellettuale che hai dimostrato. E' dote non comune.
RispondiEliminagrazie a te Gianluca, e scusami per l'incredibile ritardo con cui rispondo!
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