giovedì 1 gennaio 2015

Taranto: dalla monocultura dell’inquinamento alla monocultura spartana?


In questi ultimi tempi il dibattito culturale nella città di Taranto si è inaspettatamente animato a causa di una diatriba piuttosto sorprendente: quella riguardante la querelle “Sparta si, Sparta no”.
Premessa indispensabile per chi non conosce Taranto: che nella nostra città ci sia qualcosa che possa essere definito “un dibattito culturale” è già di per sé un evento alquanto sensazionale; e lo è anche per uno non esattamente di primo pelo come lo scrivente: per questo motivo mi sono affrettato ad offrire il mio modesto contributo in proposito! In secondo luogo occorre aggiungere, a scanso di equivoci, che Taranto fu effettivamente fondata da coloni spartani nel 706 a.C.; cosa di cui però quasi nessuno, in città, ha serbato il ricordo, anche perché non è sopravvissuta alcuna testimonianza diretta dell’evento, fatto salvo qualche reperto conservato nel Museo Archeologico (MarTA): le epoche successive, infatti, hanno profuso un grande e sistematico impegno per cancellare (o sotterrare) accuratamente qualsiasi referto che possa in qualche modo fungere da prova tangibile di quel lontano accadimento. Cosicché il tarantino medio di oggi può credere che Taranto sia una città spartana allo stesso titolo per cui un uomo di media cultura crede nel mito di Ulisse, le cui vicende furono descritte nei celebri versi di Omero, o un uomo pervaso da profonda fede cristiana “crede” nel dettato biblico in cui si narra della separazione delle acque del Mar Rosso, operata da Mosè, sotto il diretto controllo divino.
Ciò non di meno, è un dato assodato che Taranto nasca come colonia degli spartani, una volta che questi ultimi fecero fuori progressivamente gli indigeni!



Da questa premessa storicamente certa nasce l’iniziativa di un gruppo di artisti tarantini (riuniti nell'associazione AUT: Artisti Uniti per Taranto) di creare un brand - da cedere gratuitamente a chiunque ne fosse interessato - che possa identificare a livello mondiale e in modo inequivocabile la nostra città: quello appunto di “Taranto città spartana”, che, almeno questo è l’esplicito, e per nulla disdegnabile, auspicio, possa finalmente cancellare dall'immaginario collettivo l’associazione semantica tra “Taranto” e “Ilva”, con tutto l’inevitabile, quanto nefasto corollario di disastri ambientali, sanitari, sociali e politici…
Il brand è corredato da un colossale progetto di risistemazione urbana della città, con l’innesto di numerosi monumenti, realizzati ad hoc, che avranno appunto il compito di rendere visibile alla città (e al mondo interno) la sua antica origine, allo scopo di incrementare finalmente i flussi turistici nella direzione della troppo a lungo negletta città di Taranto. Un progetto che, peraltro, è stato presentato con successo in molte scuole cittadine, suscitando un entusiastico accoglimento da parte degli studenti. E a quanto pare su tale progetto ha astutamente calato un asso anche l’attuale Governo Renzi, il quale, "fiutando l'affare" politico, sembra averlo in qualche modo inserito nell'ultimo decreto Ilva di fine anno o, comunque, sia in procinto di farlo in uno dei prossimi in calendario.


Roberto Nistri
Ma, apriti cielo, l’iniziativa non è andata giù a tutti! Tra i critici più severi si è in particolar modo distinto colui che oggi è forse il più autorevole storico della città ancora vivente, il prof. Roberto Nistri, il quale ha bollato l’iniziativa come una ridicola trovata fumettistica (ispirata al film cult300”), invitando perentoriamente i giovani tarantini, irretiti da questo progetto, a “guardare al futuro”! Ora, che uno storico, le cui ricerche si incentrano quasi sempre sulla storia della nostra città (in particolare quella che va dall'800 al ‘900) prenda, per così dire, carta, penna e calamaio per invitarci così autorevolmente a distogliere il nostro sguardo dal passato, e volgerlo verso il futuro, appare alquanto originale, per non dire francamente incredibile! Sembrerebbe quasi un incitamento, un tantino masochistico, alla delegittimazione della conoscenza storica, peraltro perpetrato in un momento in cui qualcun altro è finalmente riuscito a suscitare l'interesse delle giovani generazioni tarantine verso la propria Storia! Ma, d’altra parte, è anche vero che sentirsi dire che il mito di Sparta è alimentato da Alba Dorata in Grecia, non è certo facile da digerire; e quand'anche questa allusione risultasse un po’ forzata o maliziosa, beh, in ogni caso basterebbe fare mente locale alla storia dell’antica città di Sparta per capire ciò di cui stiamo parlando: una città che non si è certo distinta, ai suoi tempi, per spirito “democratico” (anche solo nel coevo significato ateniese del termine) o per maniacale rispetto della diversità, anzi! Certo è difficile pensare che un mito del genere possa, come dire, alimentare i sogni ad occhi aperti di uno che si considera ideologicamente orientato a “sinistra”…
 E tuttavia è incontrovertibile che la Taranto spartana non sia nata dalla fervida immaginazione di uno sceneggiatore hollywoodiano o, peggio, dalla fantasia malata di interessati agitatori nazisti! D'altra parte è anche vero che pensare di creare un brand, con un suo (prevedibile) appeal internazionale, per “spenderlo” in campo turistico, forse dovrebbe indurre a riflettere con maggior ponderatezza gli stessi promotori dell’iniziativa: al di là della sua fattibilità concreta, sulla quale mi permetto di avanzare qualche dubbio, tenuto conto dello scadente tessuto imprenditoriale locale, una proposta del genere non farebbe correre alla nostra città dei pericoli per certi versi analoghi a quelli dai quali si tenta encomiabilmente di sfuggire? Non si corre forse il rischio di assoggettare la nostra città, sia pure sotto mentite spoglie, a quella stessa logica di mercato che l’ha governata sinora, e di cui Taranto ha sempre pagato le conseguenze? In altri termini: ammesso che un simile progetto si realizzi, trasformare la città in una “Disneyland degli Spartani” è un’alternativa effettivamente auspicabile, oltre che credibile? Essa sarà probabilmente più sostenibile dal punto di vista ambientale rispetto alle attività economiche oggi in essere, ma potrebbe avere delle conseguenze sociali ed economiche non meno devastanti di quelle già subite in passato! Sto esagerando? Pensate al degrado sociale che ormai da decenni colpisce la popolazione locale (ormai quasi completamente espulsa dal centro storico) di una città iper-turistica come Venezia, e avrete un'idea abbastanza chiara di quello che intendo!
Che Taranto debba trovare un’alternativa alla monocultura dell’inquinamento (perché di ciò si tratta!), non c’è dubbio: è ormai diventata una questione di vita o di morte!
Che Taranto abbia l’urgente e ormai inderogabile necessità di ricostruire il proprio tessuto storico e culturale è altrettanto indubitabile: ne va dell’identità stessa di una città che voglia sfuggire a un destino di anomìa culturale che sembra quasi ineluttabile!
Ma le scorciatoie non risolvono i problemi: tutt'al più, e nella migliore delle ipotesi, possono soltanto prolungarne l’agonia!
Credo che il lavoro per ricostruire una propria identità storica e culturale sia molto più lungo e difficile: per affrontare seriamente un lavoro di questo genere forse dovremmo tutti (storici e non) renderci consapevoli che appunto Taranto è stata, ed è ancora, una colonia! Taranto ha perso la propria identità, la propria storia, la propria libertà, con la conquista romana: da allora in poi (vale a dire: sino ai giorni nostri) Taranto è, per così dire, uscita fuori dalla Storia, non ha fatto più storia, poiché la sua “storia”, in realtà, è stata decisa altrove, e fatta da altri, quelli che, dall’esterno, hanno scritto un’altra storia per Taranto, spacciandola per la “nostra” storia! Esempi concreti, per non rimontare alla notte dei tempi, sono chiaramente costituiti dall'insediamento dell’Arsenale e della base navale della Marina Militare nella seconda metà dell’Ottocento e, più recentemente, nella seconda metà del XX secolo, dall’Italsider (ora Ilva). Ed è appunto di questa espropriazione ciò di cui noi tutti, oggi, in ultima analisi, ci lamentiamo!  Se vogliamo, la stessa grottesca iniziativa di candidare Taranto a “Capitale europea delle cultura” per il 2019, naufragata ignominiosamente quanto inevitabilmente, è stata un ulteriore, chiaro sintomo della nostra sudditanza culturale, visto che è stata proposta, per evidenti interessi elettoralistici, dal Sindaco di Bari, piuttosto che dal nostro!
Sicuramente la storia di Taranto va rivalutata e salvaguardata: ma ciò vale per tutta la sua storia, non soltanto per una parte, sia pure importante, di essa! D’altra parte, come è facile intuire, avere alle spalle una storia plurimillenaria, come Taranto di fatto ha, significa che essa è assai stratificata  al suo interno e, pertanto, ogni semplificazione sarebbe oltremodo irresponsabile, oltre che anti-storica, soprattutto se fosse propugnata in nome di una malintesa fedeltà alle origini! Quanto appena affermato, per quanto necessario non è tuttavia ancora sufficiente, perché è altrettanto vero che una città (qualsiasi) non può vivere soltanto della sua storia, per quanto illustre essa sia: una città non può essere soltanto un museo o (peggio) un parco divertimenti a cielo aperto! Una città che ambisca a ritagliarsi un proprio ruolo anche all'interno del circuito turistico internazionale, deve essere una città viva, consapevole – certo - della propria storia, ma anche e direi, soprattutto capace di avere una propria voce, da farla vivere e interagire nella realtà odierna! Una città realmente consapevole di se stessa non costruisce una identità per scopi turistico-commerciali, quasi fosse un'attempata signora bisognosa di periodici ricorsi alla chirurgia estetica, ma lo fa in funzione e a misura dell’ambizione, della consapevolezza e della fattiva volontà dei propri cittadini, aperti a un continuo e proficuo scambio culturale con il mondo esterno! Solo questo processo può consentire ad una (qualsiasi) città di diventare appetibile anche agli occhi del turista, non il contrario!
Un esempio estremo, e certo inavvicinabile per Taranto, chiarirà immediatamente quello che intendo dire: una città come, ad es., New York ha forse avuto bisogno di creare un proprio brand per diventare quello che è? Ovviamente no! E non solo e non certo perché ha ben poca storia alle spalle (comunque nulla di paragonabile alla storia di Taranto), quanto piuttosto perché è stata capace di crearsi un proprio tessuto imprenditoriale e, di conseguenza, una vita e una identità culturale che ha pochi eguali al mondo! Ed è solo per questo motivo che New York è diventata la Grande Mela, cioè una delle mete turistiche più ambite! Non è stata La Grande Mela a creare il mito di New York!

Certo, ripeto, nessuno pretende che Taranto, per diventare una realtà degna di questo nome, debba scimmiottare New York (magari col simbolo de La Grande Cozza?) o qualsiasi altra capitale internazionale! Il significato di questo paragone sta semplicemente in questo: per diventare una realtà significativa, unica nel suo genere, Taranto non ha bisogno di iniziative estemporanee, quanto, piuttosto, di un lavoro lungo, paziente, difficile e diffuso, che crei nel tempo un tessuto socio-economico e culturale che metta capo, nel giro presumibilmente di qualche decennio, a una propria, ben individuabile identità, anche a livello internazionale. Per raggiungere l’obiettivo non basterà mettere una nuova statua al centro della piazza principale di Taranto, ma occorrono piuttosto scuole, università, centri di ricerca, giornali, riviste, teatri, imprenditori “illuminati”, editori, circoli intellettuali, una rete di movimenti spontanei e - perché no? - occorre anche una classe politica degna di questo nome e all'altezza del compito: tutti elementi indispensabili che, con buona pace dei pur volenterosi spartani locali, sono ancora tutti (o quasi) da costruire…
Tuttavia non è da credere che si debba partire da zero; infatti la strada è già stata aperta. In questi ultimi anni la nostra città ha vissuto un notevole salto culturale: è passata dalla monocultura industriale, impostale dall'esterno, e di cui quasi tutti andavamo più o meno acriticamente fieri, alla nascita di una nuova consapevolezza, quella di vivere piuttosto in una monocultura dell'inquinamento. Questa nuova consapevolezza, frutto di numerose e importanti mobilitazioni della cittadinanza, si sta prepotentemente facendo strada nella coscienza comune dei tarantini. Questo è indubbiamente un trampolino di lancio (non certo l'unico!) dal quale partire, per rilanciare non solo una nuova immagine, ma soprattutto per sviluppare una nuovo progetto per la città, attraverso il quale essa possa finalmente aprirsi non semplicemente al "futuro", bensì a un futuro diverso, frutto di una scelta autonoma, per dar vita a una nuova epoca nella Storia di Taranto!

2 commenti:

  1. Buon articolo. Grazie per la misura e l'onestà intellettuale che hai dimostrato. E' dote non comune.

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    1. grazie a te Gianluca, e scusami per l'incredibile ritardo con cui rispondo!

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